
4 domande sul PIL: è il migliore risultato possibile per un Paese privo di riforme
Nel 2017 il Pil è cresciuto dell’1,4%, facendo segnare la miglior performance degli ultimi sette anni. C’è finalmente motivo per essere ottimisti?
Il massimo che l’economia italiana possa esprimere è una crescita nell’ordine dell’1,52%; possiamo dunque stappare champagne perché, nella situazione in cui siamo, di meglio non possiamo fare. L’Italia deve portarsi dietro un fardello che non ha pari in nessun altro Paese europeo e che ne ostacola la crescita. Sen za riforme strutturali non riusciremo mai ad andare oltre e per riforme strutturali intendo cambiamenti che scontentino molte persone. Abbiamo sempre fatto riforme senza toccare mai veramente gli interessi di qualcuno e questo non è quello di cui abbiamo bisogno. Il Paese è ingessato da un eccesso di norme che danno un enorme potere alla burocrazia. La burocrazia a sua volta genera lentezza e corruzione, ovvero la scorciatoia per superare le lentezze. In questi giorni si è tornato a parlare di Bertolaso e della sua Protezione civile: ricordo che gli era stata data la possibilità di bypassare qualsiasi norma, perché altrimenti non era possibile organizzare nessun evento. Un altro valido esempio è la Tav: siamo partiti negli anni Ottanta e siamo ancora nel bel mezzo della costruzione.
L’anno scorso l’Italia è stata il fanalino di coda in Europa. Riuscirà mai a la sciare la maglia nera a qualche altro Paese?
La risposta purtroppo è negativa per tutto quanto abbiamo detto prima. In Europa ci sono diverse economie piccole e giovani, in particolar modo all’Est, che hanno un passo decisamente più veloce, mentre nei confronti dei Paesi più grandi scontiamo le nostre debolezze strutturali. L’unica nazione a cui ci possiamo avvicinare è la Francia, per il semplice motivo che ha caratteristiche simili alle nostre, anche se l’inefficienza di Parigi è più contenuta. La Francia ha inoltre grandi gruppi industriali, cosa che noi non abbiamo più, e la pesantezza dell’apparato statale è inferiore. No, non credo proprio che riusciremo a lasciare l’ultimo posto. Almeno finché non decideremo di affrontare veramente le cause della nostra debolezza strutturale.
La ripresa del Pil può portare a un miglioramento del mercato del lavoro?
La risposta cambia a seconda di quali profili si parla. La domanda di personale qualificato ne ha già beneficiato; soprattutto le grandi aziende stanno assumendo e non sempre trovano il personale di cui hanno bi sogno. Il discorso cambia completamente per chi non ha una specializzazione. In questo caso non ci sono miglioramenti e non ci sono neanche i presupposti affinché ci siano. Per intervenire su questo fronte bisognerebbe cambiare il sistema scolastico e universitario. L’ultima generazione arrivata sul mercato del la voro è infatti la più scola rizzata di sempre ma anche la peggio scolarizzata di sempre. Le università sono diventati dei diplomifici e risolvere questo problema non è facile. Inoltre c’è an cora un deficit di mentalità: si continua a ragionare in termini di impiego fisso, mentre il concetto giusto è quello di “impiegabilità a vita”. Il lavoratore deve tenersi al passo con le richieste della domanda di mercato; solo così troverà sempre lavoro lungo tutto la sua vita lavorativa.
La ripresa economica può infine portare qualche beneficio sul fronte del debito pubblico?
L’impatto della crescita del Pil sul debito pubblico è praticamente nullo. Per avere un miglioramento della situazione debitoria sarebbe di grande aiuto un’inflazione più alta ma di quella non c’è traccia. Il Pil ha invece un certo impatto sul deficit: libera infatti qualche risorsa in più per il governo, che ha dunque un maggior margine di manovra.
Intervista a Pier Luigi del Viscovo uscita su Il Secolo XIX il 15 febbraio 2018