
CON UN SOLO FLACONE SI PUÒ SCONFIGGERE LA PLASTICA
Tenere i prodotti in un dispenser e prendere solo quello che serve. Non è l’unico vantaggio.
Il polipropilene isotattico, meglio noto come Moplen, valse il Nobel per la chimica a Giulio Natta da Imperia. Era il 1963, la plastica era la frontiera della modernità e l’ambiente non era un problema. Mezzo secolo dopo, restiamo basiti davanti alle distese di plastica che galleggiano nel mare oppure guardando le storie di pesci morti per aver ingoiato grandi contenitori di plastica.
Abbiamo esagerato? Di sicuro non abbiamo tenuto in conto che una bottiglietta o un flaconcino, una volta esaurita la funzione di contenere il prodotto, non avrebbero cessato di occupare uno spazio nell’ambiente. Avremmo dovuto modificare per tempo le nostre abitudini di consumo, scegliendo quali contenitori di plastica utilizzare e smaltire nel ciclo del riutilizzo e quali, invece, sostituire con altri, meno comodi e meno utili, ma degradabili e dunque compatibili con l’ecosistema.
Si tratta di scelte concrete. Tra la bottiglietta d’acqua e la fontanella, tra l’acqua del rubinetto e quella in bottiglia (che in vetro sarebbe troppo costosa). Non solo. Un paio di auricolari dentro un contenitore di plastica rigido sono comodi per la distribuzione, ma non sostenibili. Insomma, buona parte della plastica che non sappiamo dove mettere serve come packaging nell’economia dei consumi industriali: è funzionale al trasporto e all’esposizione nei punti vendita, consente di mostrare il prodotto e comunicare per immagini, garantisce una buona profilassi.
Possiamo ripensare molte di queste situazioni. Abbiamo già adottato le buste della spesa riutilizzabili, che ci portiamo da casa. Possiamo fare ancora di più, portandoci da casa pure i flaconi riutilizzabili di molti prodotti, se solo la distribuzione li offrisse a mescita. È quanto raccomandai ormai sei anni fa alla Commissione Europea quando, come consulente del Comitato Economico e Sociale Europeo, suggerii “di promuovere un modello distributivo dei prodotti di largo consumo basato sulla mescita, in alternativa ai prodotti confezionati”. I vantaggi sarebbero molteplici e non limitati alla riduzione della plastica, che resta l’obiettivo. Tenere il prodotto in un dispenser, da cui ognuno possa estrarre solo la porzione necessaria, garantirebbe una profilassi assoluta, visto che nessuno maneggerebbe le singole confezioni. Si otterrebbe inoltre una riduzione degli sprechi, altra grave questione, visto che nessuno sarebbe forzato ad acquistare quantità predeterminate, eccedenti il fabbisogno. Infine, dal punto di vista del marketing, i dispenser si presterebbero a una comunicazione molto più efficace dell’etichetta, grazie alla superfice enormemente maggiore e alla possibilità di avere uno schermo attivo.
In conclusione, possiamo pure nutrire l’ambizione di diminuire la plastica agendo sullo smaltimento, senza alterare nient’altro, ma non andremmo molto lontano. Riducendo invece le sue occasioni d’uso, dalla fontanella per bere alla mescita dello shampoo, si interverrebbe alla radice del problema. Cambiando però sistemi e abitudini. La prossima Commissione spingerà in tal senso?
Articolo pubblicato su Il Giornale il 5 giugno a firma di Pier Luigi del Viscovo.