
Ecco perché gli italiani non rottamano le auto inquinanti
La spesa degli italiani per l’automobile (63,6 miliardi di euro, esclusi i carburanti e i servizi finanziari e assicurativi) si ripartisce quasi egualmente tra acquisto di macchine nuove (37%), acquisto di usato (31%) e manutenzione (32%). È quanto emerge da una recente analisi del Centro Studi Fleet&Mobility. Sono tre attività all’apparenza contigue, eppure con profonde differenze. In particolare, il fascino di ciascuna è inversamente proporzionale alla sua redditività. A sporcarsi le mani facendo i meccanici (pur con i guanti usa-e-getta) si guadagna benino, mentre a stare in giacca e cravatta vendendo macchine nuove si perdono soldi. Nel 2013, il 52% dei concessionari aveva il bilancio in perdita, nonostante il contributo positivo di assistenza e ricambi (e usato, spesso).
Con un parco circolante ormai saturo a 37 milioni di vetture, molti ritengono che l’unica torta succulenta si chiami service. Anche perché questa torta viene dai più prevista in aumento, visto che il basso tasso di sostituzione (immatricolazioni e radiazioni) sta facendo invecchiare il parco, che dunque avrà sempre più bisogno di ricambi e riparazioni. Per dare qualche numero, basato su elaborazioni del Centro Studi Fleet&Mobility su dati ACI, nel 2013 le auto in circolazioni con meno di 10 anni erano 19,6 milioni, appena seicentomila meno del 2000. Ma quelle con più di 10 anni erano 17,4 milioni, ben 5 milioni più del 2000.
E meno male che nel decennio scorso ci sono state almeno tre incentivazioni a rottamare auto vecchie per sostituirle con altre nuove, di cui una fortissima nel 2009/10 che eliminò almeno 4/500mila pezzi – i saldi finali dell’operazione non sono mai stati divulgati, forse per stendere un velo sul quel disastro economico, che pure non ha salvato tanti dealer dal successivo fallimento.
Dopo alcuni anni, in cui quasi tutti, con apprezzabile senso estetico, hanno negato di volere gli incentivi, ecco che adesso ogni tanto se ne ricomincia a parlare. Gli incentivi non sono un male, e non sono un bene. Sono uno strumento, che può essere utile se usato dentro un progetto che miri a cambiare alcuni assetti, adattandoli a una realtà mutata. Senza un progetto, sono come l’orchestra del Titanic. Ma senza un progetto economico concreto e credibile, che nessuno vuole perché tutti pervicacemente attaccati a un modello che piace (e chissenefrega se non è più sostenibile), la finalità assegnata agli incentivi è sempre la stessa: il bene pubblico, in forma di motori nuovi e salubri contrapposti a motori vecchi e inquinanti. Come non essere d’accordo?
Allora vediamo cosa hanno prodotto gli incentivi in favore di motorizzazioni meno inquinanti. Nel 2008, ossia prima della “madre di tutti gli incentivi”, i motori incriminati in circolazione erano Euro2 (9,1 milioni), Euro 1 (3 milioni) ed Euro0 (5,2 milioni), questi ultimi “senza” marmitta catalitica e “non” eco-diesel. Nel 2013, gli Euro2 erano 6 milioni (1/3 in meno) e gli Euro1 1,5 milioni (la metà). Gli Euro0, invece, i peggiori, erano scesi a 4,1 milioni (22% in meno). Insomma, in un lustro con la più forte operazione di svecchiamento possibile, costata alle casse dello Stato oltre 1,2 miliardi di euro, al netto dell’extra gettito dovuto alle immatricolaizoni aggiuntive, gli italiani avevano rottamato più auto catalitiche (4,6 milioni, pari al 38% di quelle in circolazione) che non catalitiche (1,1 milioni, ossia il 22%). Possibile che non avessero capito? Difficile a dirsi. Piuttosto, bisognerebbe riflettere sul fatto che chi guidava (e guida) un’auto non catalitica appartiene alle fasce meno abbienti della popolazione, che magari non ha i mezzi né il credito per acquistare un’auto nuova, per quanto incentivata sia. Al limite, potrebbero valutare di rottamare la propria vecchia Euro0 per sostituirla con una Euro3/4, meno vecchia e molto meno inquinante, se opportunamente incentivati. Insomma, se l’obiettivo degli incentivi è ecologico, il bene pubblico, è sul pubblico che dovrebbero essere costruiti, incentivando la rottamazione di auto vecchie a fronte dell’acquisto di un’auto più moderna e meno inquinante, nuova o usata che sia.
Se invece l’obiettivo è altro, di natura economica, di sostegno al comparto in un periodo difficile, e va benissimo, allora si possono concentrare sulle auto nuove, a patto che ci sia un progetto vero e credibile di rilancio del settore (che in Italia è distributivo più che produttivo, per soldi e per addetti), su basi nuove e allineate a un commercio che non è più quello del novecento.
Usando un’immagine plastica, più esplicita di tanti concetti, se si vuole dare ossigeno, va bene farlo dall’alto, ma se si tratta di eliminare i ferrivecchi, allora è dal fondo che va tolto il tappo.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore – motori24 – il 17 novembre 2014 a firma di Pier Luigi del Viscovo