
Eco-bonus, tutti i numeri e i costi per finanziare l’operazione
Quando entra in gioco la Fiat i contorni di ogni vicenda sfumano per lasciare spazio alla saga popolare. La stessa Fca ridiventa Fiat. Sui social si scatena quel mai sopito spirito di odio-amore, che come tale trascende i connotati economici di una realtà economica, dove economici sono gli interessi degli azionisti ed economici sono gli interessi dei lavoratori e degli altri stakeholder interessati.
Tuttavia, i fatti sono fatti ed è bene fissarli, per quei pochi che ancora li hanno in conto.
L’emendamento sul bonus-malus per l’acquisto di un’auto nuova nasce da un’idea: finanziare fortemente (6.000 euro) l’acquisto di auto elettriche e, via via meno fortemente, quello di auto semi-elettriche (3.000 euro alle ibride plug-in: comunque si attacca una spina) e poi quello di auto a basse emissioni di CO2 (1.500 euro alle ibride normali e a metano).
Questi bonus hanno un costo, legato ai volumi che queste auto muovono sul mercato. Quest’anno parliamo di meno di 9.000 unità per le elettriche e le plug-in, ma di 120.000 pezzi per le altre. Sono tre segmenti già in forte espansione e con incentivi più o meno forti crescerebbero ancor di più.
Quanto? Elettriche e plug-in potrebbero facilmente raddoppiare le vendite, fino a 17/18mila unità, con un costo di 76 milioni di euro. Le ibride normali e quelle a metano magari meno, ma arriverebbero comunque a 180mila unità, pari a 273 milioni. In totale, parliamo di 350 milioni di euro, secondo questa analisi del Centro Studi Fleet&Mobility.
Per ottenere cosa? 70.000 immatricolazioni aggiuntive di vetture con emissioni di CO2 basse o nulle (allo scarico, perché l’elettricità va prodotta e per il 70% da fossili). Non proprio, visto che le vendite di queste macchine sono già in crescita senza incentivi. È probabile che la spinta dei bonus dunque aggiungerebbe 30/40mila unità.
È questo il problema con le promozioni, che danno soldi non solo a chi altrimenti non acquisterebbe, ma anche a chi lo farebbe comunque.
Com’è noto, nella finanziaria questi soldi non ci sono. Ecco allora che entra in gioco l’altra metà dell’emendamento, quella che tassa gli acquisti di più di un milione di altre auto, che dovrebbe produrre un gettito di quasi 400 milioni di euro, se i volumi fossero gli stessi dell’anno in corso.
Sfortunatamente, come tutti gli operatori hanno fatto osservare e com’è intuitivo anche per chi non ha particolari esperienze o competenze, il mercato avrebbe una contrazione, stimata in almeno 100/150mila unità, al netto di quelle incentivate aggiuntive. Con questi volumi, il gettito scenderebbe più o meno a 300 milioni, non sufficienti a coprire del tutto gli incentivi, ma ci andrebbe vicino. Forse l’impianto potrebbe ancora stare in piedi, direbbe qualcuno. Invece no, assolutamente. Perché le immatricolazioni mancanti farebbero venir meno anche il gettito di Iva, stimabile intorno ai 4/500 milioni. Difficile che in questi giorni di caccia al tesoro il Governo trovi coperture per questo costosissimo emendamento, che poco o nulla darebbe all’ambiente (40.000 auto a basse emissioni sono l’un per mille del parco circolante – una goccia nel mare). Insomma, l’operazione non sta in piedi per sé.
Parlare di Panda e di Fiat fa colore, ma non rende giustizia alla realtà. Il provvedimento in questione è stato affossato dall’associazione dei costruttori esteri, i diretti concorrenti di Fca, dall’associazione dei concessionari e da quella dei produttori di componenti (a cui Fca non partecipa), che vendono a tutti costruttori. Perché deprimerebbe le vendite, senza nemmeno sfiorare quei 9 milioni di vecchie macchine Euro 0/1 e 2 che emettono tonnellate di CO2 e di altre sostanze inquinanti, che sono il vero problema sulle nostre strade, insieme alle caldaie e alle fabbriche. Dunque l’intervento di Fca sarebbe stato inutile, superfluo? Non proprio. È stato invece molto opportuno, perché come abbiamo visto in questi giorni ha attirato su di sé l’attenzione, facendosi carico di un probabile e auspicabile affossamento dell’emendamento. Insomma, facendo da parafulmine, in modo da non dover ammettere che l’idea era insostenibile, ma solo che sarà eventualmente abbandonata per le pressioni di chi investe 5 miliardi negli stabilimenti italiani.
Articolo uscito su Il Sole 24 Ore il 17 dicembre 2018 a firma di Pier Luigi del Viscovo.