Elogio al diesel di ultima generazione

 In Bollettino, Nuovo

Faccio bene a prendere un’auto diesel? Quali incognite si annidano in una scelta simile? Potrò circolare liberamente, senza essere discriminato? Sono queste le domande che si stanno ponendo gli automobilisti che in questi mesi sono alle prese con la sostituzione della vecchia auto. Il processo d’acquisto è sempre una fase piena di dubbi e interrogazioni, specialmente quando l’oggetto è un bene durevole di valore importante – vulgata vuole che l’auto sia addirittura il più importante dopo la casa. Però tra tutti i dubbi e le opzioni non c’era stata finora quella dell’alimentazione. Il propulsore diesel viene riconosciuto da decenni come il più affidabile, capace anche di performance divertenti. Basti citare, a titolo di esempio, come la Golf GTD a gasolio abbia sostituito la Golf GTI a benzina come icona del desiderio realizzabile per tanti automobilisti. Non si tratta solo di una scelta dei consumatori. Sono stati gli stessi governi, in Europa, a favorire questi propulsori rendendo il gasolio più economico alla pompa, aggiungendo ulteriore convenienza a quella intrinseca, dovuta all’efficienza dei consumi rispetto al motore a benzina. Lo hanno fatto per perseguire l’obiettivo di ridurre le emissioni di anidride carbonica derivanti dalle vetture, visto che a questi motori viene riconosciuta una minore produzione di CO2.

La CO2 non inquina, ma può alterare il clima del pianeta. È un gas serra, fondamentale per la vita delle piante (fotosintesi) e connesso alla respirazione degli animali, che contribuisce per il 15% all’effetto serra, quella calotta di gas che consente ai raggi solari di entrare ma non di uscire dall’atmosfera, in modo da garantire una temperatura che permette la vita, come oggi la conosciamo. Il più grande deposito di anidride carbonica sono gli oceani, che ne contengono fino al 79% e la rilasciano all’alzarsi della temperatura, mentre la assorbono al suo diminuire.

Mediamente il pianeta produce circa 800 Gtons (miliardi di tonnellate) di CO2 all’anno, di cui 330 dagli oceani. Le attività umane, complessivamente, producono intorno alle 28 Gt/anno, all’incirca il 3,5%. La percentuale apparentemente bassa non deve però trarre in inganno, poichè c’è un effetto accumulo, che ha portato la CO2 ad aumentare fino a oltre 400 ppm (parti per milione) a partire dalla seconda rivoluzione industriale, quando la concentrazione era intorno a 280 ppm. Per amor di verità, va anche detto che non sono solo le attività antropiche a accrescere la CO2, visto che negli anni 2014-2016, pur in presenza di una riduzione delle emissioni da attività umane, la concentrazione in atmosfera è aumentata, a causa delle siccità prodotte da El Nino, che hanno messo in ginocchio le foreste di mezzo pianeta, compromettendo la capacità di assorbimento di anidride carbonica delle piante.

Nonostante la sensibilità, soprattutto europea, al contenimento della CO2, in questo decennio il diesel è stato messo sotto osservazione, a causa delle sue emissioni di elementi inquinanti.

Nel 2012, uno studio dello IARC confermava il sospetto che i fumi del diesel fossero cancerogeni. Si trattava di studi partiti nel 1988, con diesel americani privi di elettronica (e dei benefici determinanti del common rail, del filtro antiparticolato e degli iniettori piezoelettrici) e alimentati con gasolio ad alto tenore di zolfo, respirati nelle miniere per almeno 5 anni: in effetti risultavano cancerogeni. Alcuni anni dopo, nel 2015, sempre dagli Stati Uniti partiva la disgraziata storia del Dieselgate. Infine, pochi mesi fa, ancora dagli USA è emersa la vicenda delle cavie sottoposte ai gas di scarico dei diesel.

È probabile che la provenienza americana di questi attacchi non c’entri nulla col fatto che il diesel sia un propulsore sviluppato dall’industria europea, a un livello mai eguagliato né dai costruttori americani né tanto meno da quelli asiatici. Forse è piuttosto la minore sensibilità al riscaldamento globale e dunque al contenimento della CO2 antropica che spinge a posare l’attenzione sugli elementi inquinanti. Chissà che non abbia il suo peso anche il sistema sanitario assicurativo, esposto più alle patologie respiratorie che non al riscaldamento globale.

Approfondiamo dunque gli aspetti inquinanti. Il propulsore diesel per le vetture si è affermato in questo secolo. Nel 2000 nel nostro Paese circolavano meno di 5 milioni di auto a gasolio (di cui meno di centomila più vecchie di 20 anni), mentre lo scorso anno erano arrivate quasi a 17 milioni (di cui quasi un milione aveva oltre 20 anni). L’anzianità è importante, perché l’industria automobilistica è in continuo sviluppo e su molti aspetti ci sono degli abissi tra un prodotto recente e uno del secolo scorso.

Prendiamo il monossido di carbonio: in un quarto di secolo l’emissione di un motore a benzina è diminuita di 3 volte, quella di un diesel addirittura quasi 6 volte e adesso è la metà del benzina. Anche sull’ossido di azoto (NOx) i progressi apportati al motore diesel sono enormi: un Euro 5 ne emette oltre 6 volte meno di un Euro3. Dove l’evoluzione è stata impressionante è però sulle polveri sottili, il PM (particulate matter). Rispetto all’Euro1 della fine del secolo scorso, i diesel Euro 5 e Euro 6 emettono oltre 28 volte meno polveri, grazie al common rail e al filtro anti-particolato. A questo, si aggiunga che il particolato emesso dagli scarichi è solo una minima parte, nell’ordine del 4/5%, di quello derivante dalla circolazione di un’auto. Quasi 3/4 infatti sono prodotti dalla sollevazione di polveri già presenti sulla strada e dall’usura del manto stradale, mentre poco meno di un quarto è attribuibile all’usura di freni e gomme. In altre parole, se si provvedesse al lavaggio delle strade (invece di attendere le piogge) questa sostanza sarebbe quasi del tutto eliminata.

In conclusione, impedire la circolazione alle vetture diesel di ultima generazione è inutile, sotto il profilo della qualità dell’aria, ed è controproducente per il clima, nella misura in cui spinge gli automobilisti verso il propulsore a benzina. Questi i fatti. Che poi bastino a impedire provvedimenti ispirati alla facile acclamazione delle piazze, è tutta un’altra storia.

Articolo pubblicato su Harvard Business Review, a giungo 2018 a firma di Pier luigi del Viscovo.

Pdf consultabile qui.

 

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