F1 Roma. Un’occasione snobbata
Roma non avrà il suo Gran Premio di Formula Uno.
Questo è un fatto, conclusivo, preciso e tagliente come sanno esserlo gli inglesi. Diciamo subito una cosa quasi antropologica: il processo decisionale nostrano non sarebbe forse mai arrivato a rappresentare una posizione netta, precisa e definitiva, fissata nel tempo, in un certo giorno (ieri non c’era, oggi c’è, domani ci occupiamo d’altro).
Certo, gli organismi istituzionali preposti avrebbero un dato giorno deciso per il NO o per il SÌ e nella realtà poi il GP si sarebbe fatto o non fatto. Ma quella decisione sarebbe stata offuscata, appannata, revocata in dubbio da una massa di comunicazioni contrarie, da parte di chi aveva avversato l’esito della decisione e non ci sarebbe stato ad ammettere (di fronte ai suoi proseliti) di aver perso. D’altro canto, i fautori della decisione presa (che avevano vinto) ben si sarebbero guardati dal comunicare la irrevocabilità della decisione stessa, badando piuttosto a non creare imbarazzi eccessivi nei “perdenti”, sfumando a loro volta i caratteri e la dimensione della “vittoria” (qui da noi, bisogna saper vincere; perdere non è mai stato un problema).
Insomma, pur in presenza di una decisione irrevocabile, fattuale, ci sarebbe stata una fuga da questa: nessuno ha perso e nessuno ha vinto. Per sempre? No, certo. Solo per il tempo necessario a relegare la questione nella memoria, sostituendola con una nuova, più attuale. Quando non fa più male, si può dire.
Tutto questo ci è stato risparmiato da Ecclestone, che ha deciso per il NO, sottraendoci la nostra, di scelta, successiva e dipendente dalla sua.
Ora, assumendo che questa prima riflessione antropologica mi sia stata perdonata, passo ad analizzare la questione nei suoi termini economici e sociali.
Il GP di F1 sarebbe stato – per Roma – un tassello di una più ampia strategia di riposizionamento della città nel panorama turistico internazionale. L’industria turistica è la più grande del mondo e quella che cresce ai maggiori tassi di sviluppo. C’è al mondo una massa crescente di persone in movimento, che partono da un luogo di residenza, dove hanno guadagnato del reddito, e si recano in località turistiche, pagando tutti i servizi che servono con quel reddito, che così resta ad arricchire l’economia del luogo turistico, dove girano più soldi, i residenti hanno più lavoro e tutti stanno meglio. Incidentalmente, è stata una bella carognata criticare i turisti che stavano ad Haiti sulle navi da crociera dopo il terremoto – se quei poveretti hanno una possibilità, è solo dal flusso di denaro turistico: gli vogliamo togliere pure quello?
Tornando ai flussi turistici, non tutte queste persone hanno lo stesso reddito e richiedono dunque gli stessi servizi. Così, le diverse località turistiche competono tra loro per attirare i turisti più ricchi e spendaccioni, a patto di riuscire a offrire servizi adeguati, come qualità (accoglienza eccellente) e come varietà e tipologia (una mostra importante, un festival esclusivo, un gran premio, perché no?).
Roma ha sulle altre destinazioni il vantaggio di offrire (prima e in assenza di ogni evento) un patrimonio archeologico e artistico inarrivabile e il Papa. Vantaggi che però sono temperati dagli stessi romani.
Il patrimonio è proposto in modo statico, obsoleto e (in gran parte) gratuito, non è valorizzato come “esperienza”, che è invece la nuova dimensione del consumo di tempo libero. Il turista ricco, disposto a pagare per vivere un’esperienza indimenticabile nel Colosseo o alla Fontana di Trevi, ci si avvicina di più se naviga sul web che se ci viene di persona.
Il Papa accoglie i suoi turisti ammassandoli in una piazza e mettendoli in coda sotto il sole per visitare la Cappella Sistina. Ha ragione a chiamarli “pellegrini”. La vita eterna non costa poi molto. Il problema è che la vendono qui a Roma, tra Prati e Borgo.
Proviamo a immaginare cosa sarebbero capaci di fare gli americani se avessero da offrire il Papa o un terzo delle ricchezze culturali che ci sono a Roma. Invito a non storcere troppo il naso: parlando con ristoratori e albergatori vi sentirete dire che “questa città ci campa, sul Papa”.
Però, senza voler limitare la gratuità delle bellezze o della salvezza, non era malvagia l’idea di organizzare anche la Formula Uno, capace di attirare dai ragazzi col sacco a pelo al jet set (come si chiamava una volta – prima delle low cost).
E invece, è partita subito la ricerca dei motivi del NO.
Avrebbe congestionato il traffico: ad agosto?
Avrebbero fatto rumore: all’EUR? di giorno? per tre giorni?
Avrebbe peggiorato la vita degli abitanti dell’EUR: quali?
Insomma, avrebbe disturbato la preziosa Pax Romana: mai avuta!
Quando c’è il derby il traffico viene congestionato: e ce ne sono quattro all’anno.
In occasione della morte del Papa un intero quartiere è stato sequestrato per giorni da file di pellegrini e dai soccorritori della Protezione Civile: per fortuna accade di rado.
Tutti i movimenti politici, anti-politici e sindacali occupano stabilmente le strade della Capitale: e questo invece capita con insopportabile frequenza.
Almeno il Gran Premio avrebbe portato soldi.
Ma noi siamo troppo snob per confrontarci con la vil moneta. Noi abbiamo i nostri diritti. Se costano, che qualcuno (non noi) paghi! Ma con discrezione, mi raccomando.