Fiat è quotata in Borsa: per farle cambiare idea basterebbe scalarla…

 In Bollettino, Nuovo

L’abbandono di Fabbrica Italia pone al Paese una questione di cultura industriale e politica, essenziale per quellacrescita tanto invocata. La Fiat è un’azienda privata: chi detiene anche una sola azione Fiat ha il diritto di aspettarsi che il CDA faccia appieno i suoi interessi. Però per fortuna la Fiat è anche quotata, dunque è possibile condizionarne le scelte, avendo il buon gusto di acquistarne il pacchetto di maggioranza. Tuttavia, pur senza ricordare che un pezzo di Fiat (l’Alfa Romeo) proviene proprio da una splendida e fallimentare gestione pubblica, possiamo tutti ammirare l’ottimo lavoro fatto dalla politica fino a pochi anni fa con l’Alitalia. Insomma, chi pensa di saper fare meglio, metta mano al portafoglio: il titolo viaggia sotto i 5 euro, mentre Goldman Sachs ne valuta il target price a 8,5 euro. Tutto il resto è conversazione, va bene per la Nazionale.

Sì, ma Fiat nel ‘900 è stata spesso aiutata dallo Stato. Esatto, e non è mai stata quella una soluzione, bensì parte del problema. Fiat è entrata nel nuovo secolo sull’orlo del fallimento (cioè: tutto chiuso, non un impianto). Grazie agli azionisti, alle banche, alla sua ricchezza di competenze e a un manager invidiabile, quel gruppo si è rimesso in pista, fino a raddoppiare la propria dimensione con l’acquisizione di Chrysler.

Chi accusa Fiat di non aver puntato sui nuovi prodotti (ma perché il portafoglio Chrysler-Dodge-Jeep cos’è?) dovrebbe considerare che sta giocando una partita ben più difficile sulla copertura di aree del mondo dove non c’era (USA e Asia). Poi dovrebbe guardare come vanno in Europa i costruttori generalisti che hanno puntato sui prodotti.

Il Ministro Passera deve parlare con Fiat non per fare il loro mestiere, ma per fare il suo, che non è quello del pompiere con un’autobotte piena di agevolazioni per convincere un’industria a restare. La politica deve prevedere quali siano le produzioni a rischio. L’auto in Italia ha avuto cinque incentivazioni all’acquisto dal 1997 al 2009 (l’ultima è costata all’erario circa 1,5 miliardi al netto dell’extra gettito IVA): c’era o no un problema di domanda inferiore all’offerta?

Di fronte a queste crisi un Governo ha due possibilità. Primo, migliorare le condizioni che ostacolano (in genere, norme, infrastrutture e burocrazia), quando questo è possibile e fin dove lo è: non si può pensare di far lavorare gli italiani alle condizioni dei cinesi, si capisce. Secondo, favorire attività industriali nuove, che invece abbiano maggiori leve competitive: il turismo è certamente l’area dove saremmo meglio posizionati (saremmo, non siamo). Un Governo non deve occuparsi delle fabbriche che chiudono, ma di quelle che non aprono.

In ultimo: vendere l’Alfa Romeo con uno stabilimento alla Volkswagen non è la soluzione. Fiat non accetterà mai, perché vorrebbe dire indebolirsi ancora di più. Dei politici saggi non lo chiederebbero, perché una Fiat più debole significherebbe a breve la chiusura non di uno ma di due impianti in Italia (forse tre). Infine, appena le cose dovessero girare meno bene per Volkswagen (in tutta Europa c’è sovraccapacità produttiva), quello italiano sarebbe l’impianto più a rischio: altrimenti perché non lo comprano “senza” il marchio Alfa Romeo?

Articolo pubblicato su Il Giornale del 16 settembre 2012 a firma di Pier Luigi del Viscovo

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