Fiat. Zitti tutti, parla solo la CGIL

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I politici sono intervenuti sull’intervista rilasciata da Marchionne a Fabio Fazio, con due addebiti principali: la Fiat ha un debito verso il Paese per gli aiuti ricevuti in passato e dovrebbe fare auto grandi su cui si guadagna di più, così da poter competere anche con costi maggiori dovuti al “sistema Paese”.

Primo. Gli aiuti in passato miravano a forzare scelte contro il mercato ma in favore di occupazione e localizzazione in aree depresse. Se quei politici non hanno già ottenuto tutto il corrispettivo di quegli aiuti, da cittadino me la prendo con loro. Comunque, quella partita è chiusa. Ma certe politiche industriali di retroguardia non hanno favorito né il Paese né la Fiat, arrivata a inizio secolo sull’orlo del fallimento (di fronte al quale lo Stato ha alzato le mani, salvo ritornare alla carica appena ha sentito odore di soldi). Protezione e assistenza non hanno mai garantito il lavoro, la competizione sì. E questo non è capitalismo, è storia umana.

Secondo, fare auto grandi. Se oggi la Fiat è tonica lo deve sì al coraggio della famiglia di restare nell’auto e a un leader che culturalmente non è italiano e professionalmente non è un “car guy”. Ma anche ad alcuni vantaggi competitivi, tra cui la tecnologia d’avanguardia sui motori e – soprattutto – la grande capacità di costruire auto piccole ottime, belle e spaziose. Se c’è in Europa un segmento che fatica meno è proprio quello delle automobili piccole: costano meno, consumano meno, in città sono comode, fuori città si va sempre meno in auto, l’auto è un oggetto più personale che familiare, il lusso può stare anche in 3 metri di macchina. Per fare soldi nell’alto di gamma servono – oltre a un prodotto adeguato – un brand e una distribuzione globale, a cui Fiat sta lavorando. Questi sono i fatti.

La logica dei politici è invece sintomatica del loro livello. Non affrontano il problema di “come rendere competitiva una produzione italiana?” (a cominciare dal cuneo fiscale, direi), ma ribaltano la questione: “Quali prodotti occulterebbero le nostre inefficienze? Per quanto tempo ancora?

Le critiche sono arrivate da destra e da sinistra, ma Epifani ha tuonato da vero padrone delle ferriere, chiarendo che in fondo Marchionne può fare ciò che vuole, tranne parlare. «Se parla ai cittadini, la vertenza Fiat si risolve più facilmente o più difficilmente? La ricomposizione di un tavolo con la Fiom è più facile o più difficile dopo questa esposizione mediatica? Ci si può limitare ad andare in tv? Si possono trattare così le organizzazioni sindacali?» Ma quale ricomposizione? Quale tavolo?

È incredibile. 30 anni fa Berlinguer ci ha sbattuto il muso, sulla volontà delle persone perbene di decidere se lavorare o scioperare, senza imposizioni. Si chiama democrazia. Adesso ci risiamo. 3 persone possono scioperare, sì, ma non sabotare gli impianti per impedire agli altri di lavorare. Ma nessuno può dirlo, il microfono (lo scettro) è suo. Le fabbriche possono restare o andare, ma ciò che gli sta a cuore è che la storia la racconti lui. Lui e nessun altro. Perché chi racconta ha il potere.

Articolo pubblicato su Il Giornale del 9 novembre 2010 a firma di Pier Luigi del Viscovo

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