Filosofia Volvo: il contenuto definisce il contenitore
In che senso, precisamente, un secchiello di pop-corn è un segno del lusso? E di quale lusso? Cos’è il lusso?
Questa è una domanda difficile. Oggi più difficile che mai. Per noi Europei soprattutto. E per noi Italiani ancora di più – ci piace pensarlo, almeno. Un tempo era facile rispondere. Quando una piccola porzione della società riuniva dentro di sé il massimo di ogni cosa scarsa e dunque esclusiva. I ricchi potevano permettersi le cose migliori: dalla bella casa alla bella macchina. Ed erano anche quelli che avevano studiato, quelli che potevano viaggiare e conoscere il mondo. Andavano in villeggiatura. Indossavano orologi e gioielli, e quello era lusso. Guidavano belle e costose auto di marca, e quello era lusso. La massa indossava al massimo una catenina d’oro e andava in giro nelle utilitarie. E quello non era lusso. A parte ogni altra considerazione, e forse prima e sopra ogni altra considerazione, c’era uno schema. E questo schema era semplice, anzi rendeva semplice capire cosa fossero il lusso e il suo contrario.
Oggi lo schema è saltato. Abbiamo fatto dei passi in avanti, mettendo in discussione la rigidità dello schema, e questo è un grande traguardo di civiltà. Che però complica la lettura della società e delle sue cose. Le cose sono importanti, perché spesso sintetizzano l’essere e i suoi comportamenti. Sono i segnali con cui ognuno comunica istantaneamente agli altri la sintesi di sé.
Andare avanti, progredire, significa essere più bravi, più sofisticati, capaci di muoversi in modo armonico senza bisogno dello schema. In assenza di uno schema rigido, la civiltà è la differenza tra l’armonia e il caos: uno stormo di uccelli è armonico.
In ambiente fluido, definire il lusso è piuttosto improbabile. Le categorie classiche non aiutano, perché si associano tra loro in entrambe le direzioni. Il prezzo elevato è indice di lusso. La qualità è indice di lusso. Ma a un prezzo elevato corrisponde sempre una qualità elevata? Quale e quanta qualità c’è in un jeans stracciato, premium price rispetto agli altri? C’è una qualità intangibile, nel look, che arriva a contrastare, fino a distruggerla, la qualità tangibile del tessuto. Diventa più facile definire il lusso per differenza. La non-qualità è non-lusso. Ciò che costa poco è poco selettivo e dunque non di lusso. Il lusso deve comunque associarsi a una forma di esclusività. Può dare tanto, il lusso, a livello tangibile come intangibile, ma certo non può non aiutare a distinguere. Distinguersi per differenza conduce dritto al concetto di scarsità. Ciò che è scarso è per pochi, by definition, dunque un lusso.
Siamo abituati a misurare la scarsità secondo le logiche del mondo materiale, quello dal quale proveniamo e che tanto ha coinvolto l’occidente negli ultimi due secoli. Come affrancare il maggior numero di persone dalla scarsità delle risorse essenziali? Il cibo, un tetto, la salute. Non è stato facile. Per la salute, il Nuovo Mondo ha dovuto aspettare addirittura questo secolo, prima di avere una sanità distribuita. È stato complicato, a tratti lacerante, perché i beni materiali sono ripartibili ma non moltiplicabili. Oggi, faremmo torto a noi stessi se considerassimo tutto ciò di cui disponiamo o che desideriamo secondo una misurazione materiale. Ci sono risorse, anche preziose, non necessariamente ripartibili perché condivisibili, ossia moltiplicabili. Una è la conoscenza. È ormai evidente che in questo nuovo secolo dovremo dipanare il busillis di come diffondere la conoscenza preservandone il valore. Un’altra è la verità oggettiva. Nell’epoca del trionfo dell’individuo, restare saldamente agganciati ai fatti materiali, oggettivi per natura, è sfida titanica: per ora siamo in svantaggio, ma c’è il secondo tempo e possiamo recuperare.
Nello scenario attuale, il lusso sembra rifugiarsi, più che nella conoscenza, nella sua interpretazione: le idee. Queste sì, scarse. E queste sì, soggettive. Al punto che la massima valorizzazione sta nell’idea di sé. In quello che ciascuno intende che sia la sua vita e la sua testimonianza di vita. L’individuo, con la sua unicità che diventa intimità condivisa. Non celata – perché non stimola pudore – ma neanche ostentata. Condivisa, appunto, ossia percepita e capita da quelli che sono sulla stessa lunghezza d’onda. Un’individualità che dunque mira a relazionarsi con gli altri, non a sopraffarli. E che non accetta di essere sopraffatta. Né dagli altri né tantomeno dalle cose. Ecco il punto. La filosofia Volvo.
Nel rapporto auto-automobilista, è l’individualità del secondo che deve prevalere. Una Volvo è costruita intorno al suo guidatore. Ma non è l’unica, in questo. Tante, forse tutte sono costruite intorno all’uomo. Non è questo rapporto a fare la differenza, bensì la sua direzione, la sua interpretazione. L’auto può essere concepita come il prodotto della tecnologia e costruita per contenere l’uomo: è intorno. Oppure può essere una Volvo: modellata intorno all’uomo. Chi sta pensando all’ergonomia dia una regolata al sintonizzatore: parliamo di umanità interiore, non di lombi e posture. Accettare che il contenitore (la macchina) è in realtà un accessorio di colui che è contenuto (l’uomo). Il pensiero forte è quello dell’automobilista, non del costruttore di automobili. Ma se l’automobilista è un individuo, e se gli individui sono molti, allora sono tante le individualità da ospitare confortevolmente. Tante interpretazioni conducono a un’auto meno invadente, meno ingombrante nel senso che lascia spazio all’individuo, non pretendendo di caratterizzarlo in modo vincolante. È un’auto di lusso perché dà lusso, il lusso di interpretarsi liberamente, di non essere condizionato dall’identità del costruttore. Il lusso della libertà di essere, di pensarsi.
Volvo, auto di lusso che capiscono le persone.
Articolo pubblicato su CarFleet Speciale Volvo 2012 a firma di Pier Luigi del Viscovo