
Fisco e bollo, due colpi bassi che spiazzano tutto il sistema
La Legge di Bilancio. Un maggior prelievo fiscale sul dipendente (poi ridimensionato) e l’obbligo di pagare il bollo scatenano una raffica di proteste sui social, fino alla marcia indietro del Governo.
Centinaia di migliaia di reazioni sui social sono ordinaria amministrazione per famosi rapper e teenagers, ma diventano notizia quando a reagire sono dei manager assegnatari di una company car. È accaduto a cavallo di ottobre e novembre, per un paio di articoli del Sole24Ore che riportavano l’iniziativa governativa di tassare come reddito per il dipendente la company car, non per la parte di uso privato, che è già tassata dal 1997, ma anche per quella parte di uso lavorativo. A conti fatti, un prelievo aggiuntivo da parte dell’erario di alcune migliaia di euro, su persone che in gran parte si trovano sui 50.000 euro lordi all’anno o poco sopra. Non male in un’epoca in cui si vocifera di voler e dover abbassare le tasse sui redditi.
Anche grazie a quella sollevazione popolare “social”, alla fine il Governo ha svuotato quasi del tutto il provvedimento: l’uso privato resta convenzionalmente al 30% dell’auto, per le vetture fino a 160 gr/km di emissioni di CO2. “Oggi, non ci aspettiamo grandi cambiamenti, perché meno del 5% dei veicoli della nostra flotta attuale ha un’emissione superiore a 160g/km, che è la soglia fissata per l’aumento della tassazione”, ha detto Emmanuel Lufray di Arval, però aggiungendo che “le aziende clienti hanno adottato un atteggiamento cauto in attesa delle nuove disposizioni contenute nella manovra”. Insomma, il danno è stato fatto, come conferma Alberto Viano, a.d. di LeasePlan: “Le incertezze che hanno caratterizzato gli ultimi mesi del 2019, legate alle misure sul settore nel testo della Finanziaria, hanno creato indecisione e sospensione dei nuovi ordini.”
Per dare una misura del disorientamento provocato, basti dire che molte aziende hanno valutato un possibile ritorno all’auto propria del dipendente, a cui riconoscere poi il rimborso chilometrico per gli spostamenti di lavoro. Un sistema decisamente vintage, che avrebbe portato con sé due conseguenze: uso di vetture più inquinanti e meno sicure, a causa del ciclo di sostituzione ben superiore ai tre/quattro anni, e intensificazione delle spese in nero per la manutenzione, visto che il privato non le scarica.
Negli affari, una vendita rimandata oggi non si recupera domani e l’industria dell’auto ha accusato il colpo, come ci spiega senza mezzi termini Nicola Pumilia, di FCA: “Il clima di incertezza riguardo le nuove normative sulle emissioni e l’aggravio del peso fiscale del fringe benefit ha portato ad un rallentamento della raccolta ordini da parte delle aziende del territorio negli ultimi due mesi del 2019.” Sarà bene tenerlo a mente, quando poi leggiamo di contrazione dell’industria manifatturiera: gli interventi del regolatore non sono neutri, hanno un costo. Soprattutto per quella parte di mercato che invece il provvedimento ha colpito, anche dopo la retromarcia. La porzione di uso privato (dunque tassata) sale al 50/60% per le auto con emissioni superiori a 160 gr/km, ossia quelle più importanti e costose, come spiega Gianluigi Riccioni di Mercedes: “In generale, l’aumento della tassazione per l’uso privato nel canale flotte impatta soprattutto sulle vetture destinate alle figure apicali delle aziende che richiedono motorizzazioni tradizionali benzina o diesel, per le quali prevediamo una domanda crescente sulle versioni ibride plug-in”.
Poteva bastare, invece il DL fiscale di fine anno ha spostato l’onere di pagare il bollo dal proprietario all’utilizzatore. “Un provvedimento nato male e gestito peggio, in totale antitesi con la tanto declamata semplificazione amministrativa – secondo Massimiliano Archiapatti, presidente di Aniasa, l’associazione dei noleggiatori – visto che aumenta la burocrazia e i costi per chi usa l’auto aziendale e produrrà minori introiti per l’Erario, con il rischio concreto di una forte crescita dell’evasione della tassa automobilistica e di un boom di contenziosi connessi al mancato o non corretto pagamento.” Parole che hanno colpito: il “decreto milleproroghe” ha recepito l’emendamento Aniasa di spostare i termini del pagamento a giugno e convocare un tavolo, in vista di un decreto che sistemi la faccenda.
In epoca di stress-test, è probabile che l’uno-due (tassazione e bollo) sferrato al settore delle auto aziendali fosse proprio un tentativo di saggiarne la resilienza, nella filosofia che “ciò che non uccide fortifica”. Differentemente, non si capisce.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 19 febbraio 2020, a firma di Pier Luigi del Viscovo