
Il bonus-malus per l’auto: un’imposta che deprime il mercato e penalizza l’ambiente
L’imposta sulle auto benzina e diesel deprimerà il mercato, con perdita di posti di lavoro nella distribuzione e nell’industria, sia Fca sia dei componenti, e causerà un “effetto Cuba”, poiché le persone si terranno le auto vecchie, con alte emissioni inquinanti.
Prima i fatti. Martedì in Commissione Bilancio alla Camera è stato presentato dalla Lega un emendamento alla Legge Finanziaria, l’art. 79bis, intitolato bonus-malus sulle emissioni di CO2 g/km delle nuove autovetture. È stato approvato con il voto della Lega, dei 5S, di Forza Italia e di Fratelli d’Italia e ora fa parte del testo che verrà votato in Aula, probabilmente con un voto di fiducia.
Questo emendamento contiene incentivi e nuove imposte sulle auto immatricolate da gennaio 2019, il cui impatto immediato sul mercato, in attesa che diventi legge, con eventuali modifiche, è di accelerare a dicembre le immatricolazioni di auto che sarebbero soggette all’imposta, bloccando invece quelle delle auto che beneficerebbero degli incentivi. Sia le imposte che gli incentivi sono basati sulle emissioni di CO2 (anidride carbonica), un gas serra inodore e incolore. I fumi visibili nell’aria, che escono da caldaie, ciminiere e tubi di scarico, sono di altre sostanze.
La CO2 non è nociva per la salute delle persone, ma il suo accumulo in atmosfera oltre una certa soglia, iniziato con la rivoluzione industriale a metà dell’800, determina un aumento dell’effetto serra (che è alla base dello sviluppo della vita sul pianeta) provocando un graduale surriscaldamento dell’atmosfera. Le automobili che circolano nell’Unione Europea contribuiscono per meno del 2% alle emissioni di CO2 antropiche (derivanti da attività umane), meno ad esempio delle centrali di produzione dell’energia elettrica, che sono responsabili di ben un quarto di tutte le emissioni antropiche.
L’emendamento non si occupa affatto del problema della qualità dell’aria, particolarmente grave in Val Padana, inquinata da polveri sottili (PM10 e 2,5), ossido di azoto e idrocarburi incombusti, prodotti anche, ma non solo, dai vecchi veicoli in circolazione.
Entriamo nei dettagli dell’emendamento, esaminando prima la parte più significativa, quella che prevede un’imposta a carico di chi immatricola un’auto, anche in leasing, perché impatta su circa un milione di vetture. Prevede un’imposta che varia da 150 a 3.000 euro, per auto con emissioni di CO2 da 110 a oltre 250 gr/km. Per fare un esempio, la Panda 1.2 benzina, il modello più venduto in Italia, sta poco sopra i 120 gr/km, per i quali l’imposta è di 300 euro, pari a quasi il 3% di aumento.
La tabella contenuta nel provvedimento fa riferimento alle emissioni riscontrabili con il vecchio sistema di omologazione NEDC (New European Driving Cycle del 1992), sostituito a luglio scorso dal nuovo WLTP (Worldwide harmonized Light-duty vehicles Test Procedure), che è molto più aderente alla realtà e col quale i livelli sono maggiori. Per stare sull’esempio Panda, col nuovo sistema WLTP passerebbe a 140/156 gr/km, subendo un’imposta anche di 1.000 euro, che sicuramente comprometterebbe i piani produttivi dello stabilimento di Pomigliano.
Secondo le stime del Centro Studi Fleet&Mobility, confermate anche da altri centri di analisi, una contrazione delle vendite delle vetture interessate superiore alle 150mila unità sarebbe plausibile. In termini economici, parliamo di un calo del mercato intorno ai 3 miliardi di euro. È auspicabile che almeno la tabella venga adeguata evitando un accanimento che andrebbe oltre le intenzioni dell’esecutivo.
Parlare solo di valori economici però sarebbe sbagliato, perché in ballo ci sono importanti questioni legate all’ambiente. La nostra economia si poggia sulla mobilità individuale delle persone, che non può prescindere dalle automobili private, almeno nel mondo attuale. Molte, troppe di queste auto sono vecchie e, poiché l’industria automobilistica ha compiuto dei progressi giganteschi in vent’anni, molto più nocive di quelle oggi in vendita, fino a 9 a 1, per dare un ordine di grandezza. Sono dannose per la salute, per le emissioni di particolato, di idrocarburi incombusti e di ossido di azoto, e per il clima, per l’enorme quantità di CO2: cinque auto diesel Euro6 ne producono meno di una sola Euro1. Il miglioramento dell’aria e del clima passa per la veloce o lenta sostituzione delle vecchie macchine con altre nuove. Penalizzare l’immatricolazione porta a usare ancor più a lungo le auto obsolete, il cosiddetto “effetto Cuba”.
La filosofia dell’emendamento prevede tuttavia che la maggior pressione fiscale su certe auto spingerebbe i consumatori a deviare l’acquisto su quelle a minor emissione di CO2, che vengono all’opposto fortemente incentivate: da 1.500 euro per quelle a metano e ibride (termico+elettrico) fino a 6.000 per quelle solo elettriche. Ma nella realtà, in un mercato libero, i clienti non scelgono in maniera così semplice. Innanzitutto, le performance delle ibride non sono sempre preferibili per tutti gli utilizzi. Inoltre, l’offerta di modelli ibridi e a metano è ancora troppo limitata per poter soddisfare le esigenze sofisticate degli automobilisti italiani. Per di più, le vendite di questi modelli stanno già registrando incrementi del 30 e 20%, rispettivamente, grazie ai limiti alla circolazione imposti da molti comuni, tanto che viene da chiedersi perché utilizzare soldi dei contribuenti per incentivarle: si tratta di circa 300 milioni di euro, secondo alcune stime. Infine, le elettriche sono ancora lontane da una diffusione di massa, soprattutto per la scarsissima presenza di colonnine di ricarica, oltre che per altri fattori.
In conclusione, il provvedimento sarebbe certamente da rivedere, ma anche da ripensare, coniugando il miglioramento dell’aria e del clima con lo stimolo al mercato dell’auto, che è un driver dell’economia.
Articolo uscito su Il Sole 24 Ore il 7 dicembre 2018 a firma di Pier Luigi del Viscovo.