
IL PAPA E LA SFIDA SULLA RICCHEZZA
“Le regole economiche sono efficaci per la crescita – afferma Papa Francesco nell’enciclica – ma non per lo sviluppo umano integrale”. Certo, per questo obiettivo ne abbiamo davanti di strada, però la possibilità di criticare un’enciclica papale è già un bel passo avanti. Almeno rispetto a quando i suoi predecessori gli eretici li bruciavano, o rispetto alle attuali teocrazie che ancora li uccidono.
Approfittando dell’opportunità, riflettiamo su alcuni passaggi, ovviamente tra quelli che non afferiscono alla dimensione spirituale ma si concentrano sui temi economici. L’enciclica, dicevamo, riconosce al capitalismo la capacità di produrre ricchezza, ma lo critica per come poi questa viene distribuita tra la popolazione. Proprio perché ciò è vero ed è anche un problema, forse il maggiore che adesso abbiamo davanti, serve prudenza nel lanciare certe accuse, specie se provengono dal pulpito più alto e sono ascoltate anche dalle masse meno scolarizzate.
La produzione di ricchezza è il risultato del lavoro e delle imprese, laddove la sua distribuzione attiene più alla politica. Inoltre, nelle democrazie occidentali a suffragio universale tale distribuzione deve includere, oltre alla ricchezza materiale, anche quella intangibile, quali la formazione e l’informazione. Altrimenti la gente farà pure tre pasti, ma poi si suicida nelle urne elettorali. È una declinazione di quello “sviluppo umano integrale” di cui il pontefice lamenta l’incompiutezza.
Alla difettosa distribuzione di ricchezza è riconducibile pure l’altra denuncia, sul “sorgere di una nuova povertà”. Altra verità inconfutabile. Giovani che pedalano sotto la pioggia per portare una pizza sono la sconfitta, la tragedia di questa società. Eppure, la vittoria non è buttare a mare il sistema di produrre la ricchezza, che pure una messa a punto la merita tutta, perché sarebbe poi difficile da spiegare al miliardo e mezzo di persone che dal 1970 ad oggi sono uscite dalla povertà assoluta, grazie alla ricchezza prodotta.
Per evitare imbarazzanti spiegazioni, la stessa crescita viene condannata come una cosa sbagliata, ottenuta con un “esaurimento delle risorse naturali” e che appunto per questo non potrà continuare: “ciò suppone la menzogna circa la disponibilità infinita dei beni del pianeta”. Come dire: cari poveri, anche se quelli prima di voi ce l’hanno fatta, per voi non ci sono speranze di emergere grazie al capitalismo. Risorse naturali uguale crescita. Un’equazione seducente per le anime semplici, ma assolutamente falsa.
La ricchezza proviene sempre meno dai consumi materiali, man mano che cresce il benessere, e sempre più da quelli immateriali, che provengono non dal pianeta ma dall’uomo stesso, dal suo cervello che È una risorsa del pianeta. Tali consumi possono essere moltiplicati all’infinito, perché in sostanza sono idee e loro rappresentazioni immateriali. Che poi a breve dieci miliardi di abitanti siano troppi da sfamare e riscaldare è un problema, certo, ma la soluzione non è la decrescita infelice, bensì l’economia circolare e magari il contenimento delle nascite, che peraltro viene col benessere, non con la povertà.
In conclusione, la produzione di ricchezza non è il problema, quanto piuttosto una pre-condizione, per elevare miliardi di persone a un benessere tale da consentirgli di mettere in agenda temi importanti, quali lo sviluppo civile delle persone e la salvaguardia dell’ambiente. La sfida difficile, infine, è come distribuirla, la ricchezza: equamente, più di adesso. Ma senza arrivare a demotivare la spinta alla sua produzione, che poi è dove il comunismo ha fallito.
Articolo pubblicato si il Giornale, l’8 ottobre 2020 a firma di Pier Luigi del Viscovo