IL SOFTWARE È DAVVERO UN AFFARE PER LE CASE?

 In Bollettino, Nuovo

Mentre discutiamo di motori elettrici, l’industria automobilistica si sforza di diventare l’interlocutore digitale dei driver per l’accesso ai servizi di mobilità. Fa bene?

Grazie alle tecnologie digitali usare la macchina è più confortevole, più facile e soprattutto più sicuro. Fantastico, ma non ci basta. Mentre guidiamo vogliamo sentirci dentro un sistema allargato, dove si accede ad altri mezzi di spostamento e ai servizi necessari, tipo rifornimenti e ristoranti. Quasi uno smartphone su ruote. Quasi, perché quelle ruote si muovono e allora devono rispondere alle leggi della dinamica, non della comunicazione. Per giungere al ristorante serve ancora un’auto che ci porti, checché ne pensi chi abita in zona. Quindi no, degli ingegneri meccanici, obsoleti e poco cool, c’è ancora bisogno.

Chiarito che le ruote non sono un dettaglio, il busillis è chi debba costruire lo smartphone. C’è un software intrinseco, necessario al funzionamento dell’auto, con cui il driver interagisce il giusto. Poi c’è quello relativo ai servizi di mobilità, a cui guardano con cupidigia tutti i soggetti che a vario titolo operano nel campo, avendo fiutato che chi riuscirà a stabilire il contatto col driver avrà un vantaggio commerciale. Le case auto ritengono di potere, forse di dovere e sicuramente di volere giocare un ruolo dominante, visto che quel driver sta guidando l’auto che essi hanno costruito e che seguono ormai anche da remoto, per la manutenzione e per gli aggiornamenti del software operativo.

Ma è davvero un’opportunità oppure rischiano di finire su un terreno troppo distante dal loro core business di metalmeccanici?

Queste aziende hanno passato gli ultimi trent’anni ad alleggerirsi, esternalizzando la progettazione e la produzione di molte parti dell’automobile, importanti per il funzionamento. Le sapevano fare bene, eppure hanno ritenuto che fosse meglio affidarli a terzi più specializzati di loro. Adesso invece si stanno dedicando a una materia molto distante dalle loro competenze, dove per giunta insistono dei veri giganti, nativi digitali.

Se n’è discusso a Roma all’evento “campo largo, l’affaire data”. Alla domanda proposta dal think tank AgitaLab (“in futuro il cliente quale piattaforma userà, prevalentemente/preferibilmente, per accedere ai servizi di mobilità?”) il 58% dei convenuti ha indicato “quella delle big tech (Google e altre)”, mentre un terzo ha risposto “quella di specifici service providers”.

Sì, i clienti magari cercano un punto di aggancio unico ai servizi di mobilità e sì, l’auto resta un mezzo centrale. Ma basta a fare dei costruttori i campioni delle piattaforme digitali? O non farebbero meglio a concentrarsi su progettazione e costruzione delle ruote, dove non hanno rivali?

 

Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore l’8 aprile 2023 a firma di Pier Luigi del Viscovo

 

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