
LA LOBBY DELLA MOBILITÀ GREEN LANCIA UN NUOVO DIKTAT ALLA UE AI GOVERNI CONTRO L’AUTO
Transport&Environment intima ai Governi di anticipare la stretta sulle emissioni che porterebbe fuori dal mercato ogni forma di motore non elettrico
Gli effetti di Cop26 sull’automotive non si sono fatti attendere. A poche ore dalla conclusione Transport&Environment, i lobbysti della mobilità green con enorme influenza sulla Commissione Europea, ha subito intimato ai Governi di anticipare la stretta sulle emissioni che porterebbe fuori dal mercato ogni forma di motore non elettrico: “Il settore automotive deve tagliare le emissioni dell’80% entro il 2030”.
Ricordiamo che a inizio anno era stata proprio T&E a “suggerire” di bandire la vendita di vetture termiche, altrimenti la maggioranza degli automobilisti non avrebbe scelto spontaneamente di guidare un’auto elettrica. Sembrava una provocazione e invece era un diktat, prontamente raccolto dalla Commissione che pochi mesi dopo emanava la sua proposta di vietare la vendita di auto termiche, a far data dal 2035.
Questa ipotesi, soggetta all’approvazione del Parlamento e, scoglio più ostico, del Consiglio d’Europa dove siedono i Capi di Governo, ha comunque prodotto non deboli preoccupazioni in tutti gli operatori, per gli impatti occupazionali che si trascinerebbe dietro. In effetti, già alcuni produttori di componenti destinati ai motori termici hanno paventato di chiudere i battenti e gli stessi costruttori hanno a più riprese annunciato tagli per decine e decine di migliaia di addetti. L’ultimo in Volkswagen che ha portato allo scontro del consiglio di fabbrica col CEO, arrivato a un passo dall’essere sollevato dall’incarico.
I Governi, già per natura sensibili all’occupazione, hanno colto in più la difficoltà sul fronte degli automobilisti. Anche quelli che vorrebbero salire su un’auto elettrica sono frenati dall’insufficiente rete di ricarica, tanto che nei fatti i nuovi motori sono per lo più appannaggio di chi ha la possibilità di installare la propria colonnina privata e può riservare il veicolo a un uso cittadino. Quanto l’insufficienza delle infrastrutture sia un ostacolo insormontabile, specie con i fondi del PNRR in arrivo, o piuttosto un alibi per fare spallucce allo stop del 2035 è difficile stabilirlo.
Fatto è che proprio i principali Paesi hanno fatto conoscere a Glasgow la loro posizione verso la proposta della Commissione, alquanto tiepida tendente al freddo. Sicuramente un primo tentativo per saggiare il terreno, com’è abitudine di chi vive di umori popolari. Quello su cui poggia T&E deve aver avuto un tremore, nemmeno lieve, tanto da uscire immediatamente con un’analisi che, incrociando alcune proiezioni di vendite, giunge a prospettare che “in assenza di nuove e ambiziose regole gli europei acquisteranno 18 milioni di veicoli elettrici in meno da qui alla fine del decennio”.
A parte la considerazione che non è detto che chi voglia un’auto termica in mancanza comprerebbe un’elettrica, lo studio si spinge oltre, assumendo che l’industria e il mercato sarebbero addirittura in anticipo sui target alle emissioni fissati dalla Commissione: “Il target del 2025, a conti fatti, potrebbe essere raggiunto addirittura con due anni di anticipo. Un chiaro segnale della debolezza dell’obiettivo prefissato.”
Pur spettando la replica alle associazioni dei costruttori, non risulta che davvero sia tanto agevole tenere il mix delle vendite entro i limiti. Anzi, per dirla tutta, la crisi dei microchip sta fornendo anche una scusa accettabile per favorire proprio le immatricolazioni di vetture green (low emission vehicles).
L’impressione che si ricava è i timori di T&E non siano tanto per i milioni di auto elettriche non immatricolate da qui al 2035, quanto per il serio pericolo che la data possa slittare o, peggio, che lo stop ai motori termici possa non essere confermato. “Se i legislatori non interverranno, la forte espansione dei veicoli elettrici, alimentata in passato dalle norme sul taglio delle emissioni, è destinata a vacillare”.
Finora i costruttori hanno creduto allo stop nel 2035, perché i loro tempi sono lunghi e oggi devono indirizzare gli investimenti per ciò che venderanno tra dieci anni. Su questa “direzione segnata” poggiano la comunicazione ai clienti, per spingerli ad adottare prima ciò che comunque dovranno guidare poi. Tuttavia, quando ci sono di mezzo gli umori popolari e la politica, i tempi del cambiamento possono essere lunghissimi come istantanei. Da qui l’urgenza di portare a casa un risultato, che diversamente potrebbe evaporare proprio quando sembrava a un passo. L’ha capito T&E ed ha mosso le sue pedine. Ma sembra l’abbiano capito pure i costruttori, le cui pedine hanno però l’altro colore, e si chiedono se non siano stati un filo precipitosi.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 17 novembre a firma di Pier Luigi del Viscovo