
L’auto è «fragile». E con lei 37 milioni di clienti
Gli automobilisti sono i clienti di qualcuno e quel qualcuno dovrebbe curarsi di loro. Gli automobilisti se l’aspettano, in fondo.
Gli automobilisti hanno i loro grattacapi, professionali, familiari, di salute, come tutti noi. Però sono anche automobilisti, ossia posseggono un’auto, che in linea di massima gli facilita gli spostamenti – almeno quelli! A volte la cambiano, ogni 7/8 anni, con una nuova o con una usata ma più fresca. Si tratta di una scelta individuale, funzione di alcuni fattori: il gradimento estetico, la qualità del prodotto, la capacità di spesa e altro ancora.
Questo accade perché l’auto è fragile. La sua industria è importante per i governi, per i sindacati, per l’economia nel suo complesso, e proprio per questo fatica a percepire la fragilità del prodotto. Una fragilità ideologica, culturale, che lo rende un bersaglio facile. Non è difficile trovare ascolto per chi voglia scagliarsi contro l’automobile. Questa volta sono i diesel, prima sono stati i SUV, e prima ancora le fuoriserie. Tanti opinion leader fanno vanto di non usare l’auto – loro che possono.
Di fronte a queste pressioni, dettate da un mix di genuina attenzione all’ambiente, di fiuto istintivo per il consenso facile e di colpevole disinformazione, gli automobilisti sentono di non avere un punto di riferimento, qualcuno che parli per loro. Eppure, qualcuno conoscevano nel settore, quando quell’auto hanno acquistato. Qualcuno conoscono ancora, quando quell’auto ha bisogno di un tagliando o di una riparazione. Ma chi? Chi è quel qualcuno?
Sono le persone che li hanno stimolati e attratti con prodotti affascinanti, con offerte convenienti, con tutta la cortesia e la professionalità del mondo. Quegli automobilisti hanno creduto, non solo al prodotto e all’offerta, ma ai tanti qualcuno che glieli proponevano.
Ora gli automobilisti sono disorientati, e magari vorrebbero sentire che quel qualcuno è ancora dalla loro parte, che sta perorando le loro ragioni. Che sono le ragioni della gente comune. C’è chi può realisticamente sostituire l’auto vecchia (troppo vecchia, effettivamente) con una più nuova, che ha un impatto ambientale basso o bassissimo. Questi devono essere aiutati, incentivati finanche (sì, abbiamo detto la parolaccia), ma non costretti. Nessuno deve essere forzato, brutalizzato. Perché soprattutto a certe fasce di reddito tirare avanti dignitosamente non è facile, e chi lo fa (e sono tanti) merita rispetto, non aggressività.
Aggressività non è solo mettere la data di scadenza su un bene durevole e importante, come stanno iniziando a fare le amministrazioni – che si sa, non sempre sono in sintonia con i cittadini. Aggressività è anche imporre il futuro prima del tempo (e prima che sia davvero pronto). Il futuro è una cosa bellissima che un giorno arriverà e magari non sarà come oggi lo immaginiamo. È questa la sua principale caratteristica, che sorprende. Ecco perchè va preservato, non anticipato forzatamente.
Tutti gli automobilisti (chi può, chi potrebbe e chi invece proprio non ce la fa) sono stati clienti di qualcuno. E lo saranno ancora. A patto che quel qualcuno non si giri dall’altra parte o addirittura contro, magari ingolosito da qualche vendita in più nell’immediato. Un cliente è un patrimonio, e chi ce l’ha se lo tiene stretto, quando è facile e quando è più complicato.
Molti di questi qualcuno erano sul campo quando quelle auto oggi criminalizzate sono state acquistate. Erano vicino ai clienti. Erano i loro clienti. Se vogliono che lo siano ancora domani, devono considerarli tali anche oggi. Anche quando non possono (o semplicemente non vogliono, non ora) entrare nel mercato. Oggi devono scegliere da che parte stare.
Anche perché quella marca, se qualcuno un giorno gliel’ha venduta, loro la guidano tutti i giorni. Se vendere macchine è affare di un momento, possederle è durevole. I clienti in Italia non sono 2 milioni, ma 37. E non all’anno, ma tutti i giorni.
Articolo uscito su Il Sole 24 Ore il 17 luglio 2018 a firma di Pier Luigi del Viscovo.