
L’auto è roba da ricchi? Pare di sì
Il Bel Paese sta procedendo al passo del gambero, come molti indicatori già hanno mostrato sulle pagine di questa testata. Se il tasso d’inflazione ci riporta al 1959 e gli investimenti in edilizia al 1967, anche la domanda di auto sembra ritornare a quegli anni, quando l’automobile era appannaggio dei benestanti: “Anche quello si è fatto l’automobile”, si diceva per indicare qualcuno che passava da una fascia meno abbiente a quella superiore. A parte il numero di auto che si immatricola ogni anno (in linea con il 1979), a fare notizia è anche che a venir meno è proprio la domanda di auto di massa, quasi che fosse di nuovo un prodotto per gente che sta bene.
Quasi tutta la caduta del mercato auto degli ultimi anni è stato determinato dal dimezzamento in valore delle vendite dei prodotti di massa, mentre quelli premium hanno perso “appena” un quinto del business. È quanto emerge da un’analisi del Centro Studi Fleet&Mobility, che misura dal 2006 il mercato auto in termini di valore, partendo dalle immatricolazioni.
Le vendite di marche premium (Audi, BMW, Mini, Mercedes, Smart, Lexus, Jeep, Jaguar, Land Rover, Abarth, Aston Martin, Bentley, Cadillac, Hummer, Lamborghini, Infiniti, Lotus, Maserati, Porsche, Rolls Royce, Saab, Tesla, Volvo, Martin Motors, McLaren e Ferrari), a cui vanno aggiunti alcuni modelli premium di marchi generalisti (Fiat 500, Opel Adam, Nissan Juke e Lancia Y), sono passate da 14.067 milioni di euro nel 2007 a 11.233, con una flessione del 20%, tutto sommato accettabile, considerato il periodo di forte crisi dell’economia. Tutto il resto del mercato invece è crollato del 53%, passando dai 37.001 milioni di euro di vendite del 2007 ai 17.248 del 2013.
Questi semplici e impietosi numeri delineano alcuni tratti significativi del mercato italiano delle auto nuove.
Innanzitutto, sembra difficile sostenere che in tempi di crisi gli automobilisti si siano rivolti di più a prodotti “value for money”, ossia quelli che a fronte di una buona qualità (spesso ottima) chiedono un prezzo che oscilla dal ragionevole al molto conveniente. I prodotti premium, che offrono una qualità decisamente eccellente, ma soprattutto un look accattivante, di tendenza, hanno mantenuto la franchise di clientela decisamente meglio. Anzi, incrociando i valori di spesa per auto premium con le relative immatricolazioni, si scopre che queste dal 2007 sono calate appena del 3,8% (quelle di massa del 56%), mentre il valore medio a listino di queste vetture è diminuito del 17%: segno che gli italiani hanno scelto macchine premium anche quando acquistavano un’utilitaria. Insomma, a un po’ di lusso non si rinuncia. Questo atteggiamento non è stato riscontrato in altri comparti dei consumi (ad esempio, quando l’entrata dell’euro alzò i prezzi della ristorazione, gli italiani abbandonarono i ristoranti in favore delle pizzerie), a significare che nell’acquisto di auto giocano delle logiche particolari.
In secondo luogo, è chiaro che la crisi strutturale di questi anni sta colpendo le fasce medio-basse della popolazione. Quelle persone che nel decennio scorso riuscivano comunque a inserire tra i loro acquisti anche un’auto nuova, e che in questi anni fanno fatica, sia a sostenere la spesa sia ad accedere al finanziamento necessario.
Per gli operatori, poi, si pone la domanda se le auto premium e di massa siano sempre due segmenti dello stesso mercato, ovvero se ormai non vadano trattate separatamente, come due mercati distinti. Questo sarebbe un cambio strategico rilevante, visto che da due decenni le Case, di fronte alla necessità dei dealer di crescere per generare economie di scala, propongono un assortimento di brand che mette insieme prodotti premium e di massa, in modo da generare la minor concorrenza possibile.
In conclusione, pare che il Paese stia cambiando davvero e comunque. Per ora in peggio, grazie alle resistenze degli Italiani che si ostinano a preservare lo status quo. Auspicabilmente, ci accorgeremo che fa meno male adeguarci e cambiare per il meglio, che pensare di restare fermi mentre invece arretriamo. Prima è, meglio è.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore – Motori 24 – il 19 settembre 2014 a firma di Pier Luigi del Viscovo