
Le auto a guida autonoma: siamo già nel futuro?
Da piccolo mio nonno mi portava il pomeriggio a vedere i treni. Ne ero affascinato come tutti i bambini. Poi un giorno – me lo hanno raccontato più avanti – ho fatto una domanda: “Nonno, ma il treno ce l’ha il volante per girare le ruote?” Vedevo che si muoveva sulle rotaie fisse, ma pure che queste ogni tanto compivano delle curve che in qualche modo il treno doveva assecondare. Nella mia immaginazione, era impensabile che dietro una svolta non ci fosse un uomo a girare uno sterzo o un manubrio. Alla TV guardavamo i Pronipoti, che viaggiavano su automobili volanti, ma sempre con il papà alla guida. Del resto, era sempre stato così fin dai carri degli Ittiti.
Adesso la tecnologia ci dice che va bene così, che abbiamo fatto il nostro tempo. D’ora in avanti non qualcuno ma qualcosa, un sistema intelligente, si occuperà di condurre le automobili e gli altri mezzi di trasporto su gomma. Non accadrà in maniera netta, bensì con una gradualità distribuita nel tempo. Perché l’automobile è un mezzo di trasporto di massa e tale deve restare. Dunque, ogni cambiamento deve muoversi dentro il limite di non perdersi nessuno per strada. Chiedere a tutti di fare i passeggeri con nessuno al volante sarebbe dirimente. Meglio procedere per tappe di avvicinamento, lungo un cammino che si chiama guida assistita. In pratica, il
sistema ti sostituisce in una cosa alla volta. Con molto tatto, prima ti aiuta se ne hai bisogno, poi anche quando non lo chiedi, magari svegliandoti da un colpo di sonno o richiamando la tua attenzione, che avevi inopinatamente dedicato a uno schermo (dell’auto o dello smartphone fa poca differenza). In seguito ti inibirà atti contrari a quelli appropriati, prima dello stadio finale: la sostituzione piena alla guida. Questo ad oggi è il punto di arrivo del percorso.
Non è ancora chiaro quanto tempo impiegheremo. Qualcuno dice dieci o vent’anni, ma qualcuno prevede pure meno. Sappiamo anche che dovremo apportare sostanziali modifiche al sistema entro cui ci muoviamo, sia nelle infrastrutture sia nelle norme di regolamentazione. Salvo per qualche telecamera qua e là, le strade di oggi hanno più o meno la stessa tecnologia di duemila anni fa, con una segnaletica dedicata all’occhio umano come le pietre miliari dell’antica Via Appia. Resta da capire se lungo questo cammino che porta alla guida autonoma opteremo per costruire dei sistemi che ricalchino la guida umana – come sembra che stiamo facendo – in modo da poter circolare sulle strade attuali, oppure se si deciderà parallelamente di modificare le strade, creando delle vere e proprie piste digitali, che scambiano segnali con i mezzi di trasporto. Questo al momento non è il tema più appassionante né quello
discriminante. La questione che attira le attenzioni è piuttosto quella legata alle norme. Quando non sarà più il guidatore a compiere le scelte, chi dovrà rispondere per queste? Il costruttore del software o colui che l’ha progettato e scritto? Oppure il costruttore del veicolo, che l’ha installato e commercializzato? O ancora, chi ha eseguito la manutenzione, probabilmente da remoto? Siamo tutti consapevoli che le norme vigenti non sono in grado di accogliere automobili che non siano sotto il pieno controllo di un automobilista.
Questa delle responsabilità appare una sfida enorme, eppure non è la più difficile. Il vero tema che si cela dietro un sistema intelligente è … proprio la sua intelligenza. Intelligere significa esattamente capire e discernere. Saper comprendere in ogni situazione, per quanto simile ad altre possa presentarsi, quale decisione adottare, quale scelta compiere. Spesso è facile, perché la scelta è tra il bene e il male, tra prudenza e imprudenza. Non c’è dubbio che in quei casi – e sono tantissimi – una guida meno umana e più artificiale garantirebbe il crollo verticale degli accadimenti negativi. Sarà interessante vedere quando e quanto saremo in grado di farci sostituire nelle fattispecie in cui si dovrà scegliere il male minore. O peggio ancora, quando l’unico modo per evitare un danno causato da altri sarà di causarne uno a nostra volta, di entità minore (o presunta tale). Sembrano discorsi lontani, ma calati nella realtà prendono la forma, ad esempio, di un bambino che colpevolmente sbuca in mezzo alla strada: salvarlo potrebbe implicare andare a tamponare un’altra vettura. Ossia, perseguire un fine superiore passando dalla ragione al torto.
Poi ci sono – e continueranno ad esserci – tutti quei piccoli comportamenti che oggi adottiamo, che stanno al limite delle norme e spesso ben oltre esso, come fermarsi in doppia fila per far salire un passeggero. Molti hanno un giudizio preciso e netto su queste vicende. Se siano da tollerare oppure no. Quello che nessuno davvero può affermare è se il saldo complessivo di tutti questi gesti umani alla guida sia positivo o negativo, alias se rimuovendoli in blocco la circolazione e la produttività che ne deriva aumenterebbero o diminuirebbero.
Gli uomini e le donne non sono perfetti, ma restano al momento e da alcuni milioni di anni il cervello più sofisticato mai apparso sul pianeta. Sostituirlo è probabilmente possibile. Che sia facile è tutto da dimostrare.
Prefazione pubblicata su Corporate Vehicle Observatory Arval, ad Ottobre 2016, a firma di Pier Luigi del Viscovo.