L’economia È politica

 In Bollettino, Economia

Succede sempre qualcosa. Ogni anno, ogni mese, ogni giorno ci sono avvenimenti che, rimbalzati dai media, attirano la nostra attenzione. A ciascuno attribuiamo una determinata importanza, nella misura in cui li riteniamo capaci di impattare sull’equilibrio del nostro sistema. Ce n’è sempre uno che valutiamo più importante degli altri. Ma il giorno passa, il mese passa, e ci troviamo con altri avvenimenti, che hanno scalzato quelli di prima, che pure c’erano sembrati rilevanti. Solo a distanza di anni ci accorgiamo che qualcuno di quei tanti eventi ha segnato gran parte di quanto venuto dopo. Ad esempio, ora sappiamo che gli scioperi di Solidarnosc in Polonia sono stati più incisivi della guerra nei Balcani, tanto lunga e cruenta da farci inorridire, eppure meno significativa di quella odierna in Ucraina. È normale, perché nel presente si fa fatica a cogliere quali siano i fatti che davvero cambiano il corso delle cose. economia è politica

Ma in questo inizio di 2015 non può sfuggire che ci troviamo a un crocevia della storia, per il significato che molti avvenimenti hanno: la crisi russa, il calo del petrolio, l’apprezzamento del dollaro, la svalutazione dell’euro, la minaccia dell’Isis.

Petrolio, dollaro ed euro si tengono, in uno scenario in cui siamo abituati a stare. Il gioco è tra USA, UE e Paesi arabi e non è difficile sapere chi è che dà le carte. È da oltre un decennio che il dollaro non si mostrava così muscoloso verso la nuova divisa dei ricchi europei. In questi anni la Federal Reserve ha gestito una profonda crisi finanziaria con una politica monetaria espansiva che non si vedeva da tempo. I fatti hanno dato ragione a lei e alla Casa Bianca, che ha utilizzato pure la leva del deficit di bilancio per sostenere la ripresa. Una divisa debole ha favorito l’industria manifatturiera interna, che stava soffrendo una lunga emorragia di delocalizzazioni in Paesi emergenti. Oggi l’America è tonica e in crescita, la sua disoccupazione è tornata ai livelli fisiologici del 5/6%, obiettivo che un anno fa il FMI riteneva irraggiungibile persino nel 2018. Può ben permettersi una moneta rivalutata rispetto all’euro. Chi vuole vendere le sue merci agli americani può respirare grazie al cambio molto meno penalizzante che in passato. Se per la 500 è stata dura sbarcare sul suolo americano, non lo sarà così tanto per le neonate 500x e Renegade, né per le Maserati e per le Alfa Romeo. Discorso opposto ovviamente per il Freemont, fabbricato in Messico, per il quale staremo a vedere quanto reggerà la sua strategia di prezzo aggressiva.

Certo, l’operazione dollaro-euro è stata resa possibile soprattutto dal calo del petrolio, il cui prezzo si è dimezzato nel giro di pochi mesi. L’Europa può negoziare su tutto, salvo che sull’energia. A parte la Francia e dopo il drastico e frettoloso dietro-front della Germania sul nucleare, seguito al disastro di Fukushima, il vecchio mondo deve acquistare gas e petrolio per funzionare e per scaldarsi d’inverno, e ormai anche per rinfrescarsi d’estate. La scelta dell’Arabia di pompare greggio sui mercati per difendere la sua quota di mercato ha prodotto un eccesso di offerta e un crollo del prezzo. Ora, ritenere che questa decisione sia scollegata dal contesto politico-economico mondiale significa ignorare che da Pearl Harbor in avanti è l’energia la materia prima che scatena e risolve tutti i conflitti, fatta salva l’acqua per Israele e la Cisgiordania.

Nelle mani giuste, il petrolio è una clava. Un prezzo basso porta giù a ruota il prezzo del suo immediato succedaneo, il gas naturale che da vent’anni sostiene il benessere e lo sviluppo dell’economia russa. E questo ci collega ai protagonisti della crisi russo-ucraina e della minaccia dell’Isis, i due teatri dove si stanno confrontando alcuni assetti fondamentali per noi. Da come muoviamo dipende molto del nostro benessere a venire.

A un quarto di secolo dalla caduta del Muro, inizio della disgregazione dell’impero ed epilogo di un decennio cominciato con l’invasione dell’Afghanistan, in cui erano emerse tutte le debolezze del modello sovietico, la Russia si presenta sulla scena con un volto nuovo. Non più la quasi-amicizia mostrata per vent’anni, da Gorbaciov prima e da Eltsin poi, fino al Putin di ieri, amicone dei leader occidentali, membro del G8, esportatore di gas e altre materie prime e importatore di industrie occidentali, presente ma mai ingombrante, mai veramente di traverso. Ora stiamo conoscendo come vedono il Mondo da lì. È bastato avvicinarsi troppo, toccare politicamente uno Stato satellite, o presunto tale, blandirlo con ipotesi di Unione Europea o di Nato, facendo leva sulle sue oggettive debolezze economiche, per sentire battere i pugni e anche i tacchi. Per noi europei, che dalla fine delle Colonie dominiamo o siamo dominati con le armi della finanza e del commercio, suona strano che qualcuno ancora ragioni in termini di protettorati politici, men che meno militari.

Purtroppo, bisogna osservare che le potenze europee si sono mosse in ordine sparso. L’Inghilterra come sempre abbastanza allineata agli Stati Uniti nel fare la voce grossa, Francia e Germania nel ruolo di interlocutore costruttivo, per tenere aperto il dialogo e giocare la vera partita, che è economica. Le sanzioni occidentali fanno molto male alla Russia, ma se una cosa la storia ha insegnato è che i russi quando sentono dolore si stringono forte attorno al leader e allentano la presa solo quando cessa il dolore. La nostra soglia del dolore economico è infinitamente più bassa. Le sanzioni fanno male anche a noi, tanto che iniziamo a chiederci se ne valga la pena. Soprattutto, dovremmo chiederci se penalizzare le nostre esportazioni ci porti un corrispettivo adeguato. Potrebbe. L’Italia è esposta anche su un altro fronte, che è quello degli assetti mediorientali. I sunniti, Arabia, Emirati e Qatar e gli estremisti dell’Isis si trovano, oggi come secoli fa, opposti agli sciiti, la cui espressione politica più rilevante si chiama Iran. Gli Stati Uniti, acerrimi nemici dell’Iran dal 1979, hanno nell’ultimo anno lavorato per ricucire e stanno arrivando a un negoziato sul nucleare – facendo infuriare Israele. Impossibile non vedere un collegamento tra questa politica verso gli sciiti e la minaccia che i sunniti stanno portando all’Europa e al suo lato sud, la Sicilia, nella forma di centinaia di migliaia di profughi. L’Italia ha ampio titolo per dichiararsi coinvolta più di tutti e dunque legittimata a promuovere l’iniziativa. Come pure, la plastica esclusione dai colloqui di Minsk (seppur nella forma di Lady Pesc) offre l’occasione, subito colta, di muoversi in prima persona. La partita che più ci interessa si chiama riassetto libico, dopo quel caos che ci è costato carissimo proprio perché avevamo da perdere più degli altri.

Dunque, stiamo beneficiando di buone condizioni sul fronte occidentale, ma su quello orientale è ancora tutto in discussione e collegato: la riaffermazione dell’influenza russa e la minaccia terroristico-demografica dal sud del ‘mare nostrum’. Non è dato sapere come realmente evolveranno. Ciò che appare evidente è la loro importanza. Abbiamo cospicui interessi economici nell’una e nell’altra.

Pier Luigi del Viscovo

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