L’INDUSTRIA MUGUGNA MA OBBEDISCE

 In Bollettino, Nuovo

Ogni mese i costruttori annunciano nuove Bev e ribadiscono che l’automobile sarà solo elettrica. Al tempo stesso, i dirigenti delle stesse Case si concedono taglienti dubbi, più che mei fuori dal coro. Senza però mai trarne le conseguenze.

 

Dieter Zetsche, allora capo di Mercedes: “La domanda di auto elettriche è bassa e questo non per mancanza di disponibilità e di scelta. La realtà è che nessuno le vuole comprare.” Tavares, PSA: “Se si vuole energia pulita, bisogna chiedersi da dove arrivi quell’energia pulita”. Frölich, BMW: “Non c’è alcuna domanda di auto elettriche da parte dei clienti. Nessuna. Ci sono richieste da parte del legislatore, ma non dei clienti”. Toyoda: “L’auto elettrica? Business immaturo con costi energetici e sociali insostenibili. Più veicoli elettrici produciamo, più salgono le emissioni di CO2”. Tavares, Stellantis: “Le auto elettriche non piacciono ai consumatori comuni. Sono principalmente acquistate dai sostenitori attivi della mobilità sostenibile”. De Meo, Renault: “Se l’Europa diventa il continente con più auto a batteria, sarà terreno di conquista per i cinesi.”

Ma non l’avevano iniziata loro questa crociata? In effetti all’inizio del secolo a crederci erano i francesi, forti della disponibilità di energia nucleare non fossile e mossi dalla voglia di recuperare sui tedeschi, che facevano già storcere il naso agli ambientalisti per i grandi SUV. Poi la Germania, punita dall’America col diesel-gate a settembre 2015 per il gasdotto Nord Stream 2 firmato a giugno, e insofferente per cultura a stare dietro alla lavagna, ha pensato all’elettrico come lavacro. Nel frattempo la Cina, per non essere l’ultima nella tecnologia termica, optava per il dominio su batterie e materie prime, orientando all’elettrico il più grande mercato del mondo, su cui i tedeschi hanno investito come nessun altro, al punto che tenere aperti due fronti di ricerca e sviluppo, termico ed elettrico, diventava insostenibile. Così Bruxelles, sulla spinta di Greta, delle lobby e pure di Berlino, ha cominciato a fare sul serio, mettendo limiti alle emissioni e multe. Tutti i costruttori si sono adeguati al diktat sterzando sull’elettrico, fiduciosi che i clienti li avrebbero seguiti e le colonnine sarebbero spuntate. Quando non hanno visto né gli uni né le altre è partita la girandola di affermazioni.

Ma perché non fanno seguire azioni conseguenti sul piano industriale e commerciale, assecondando il mercato e sfidando le multe? Perché andare allo scontro col potere politico non è nelle corde dell’industria automotive. Per un secolo sono stati dei giganti nella produzione di ricchezza e nell’occupazione. I governi li corteggiavano affinché aprissero un impianto e acquistavano le auto prodotte nel paese. Quando la domanda languiva davano incentivi finanziati coi soldi dei contribuenti. No, il regolatore è l’amico, non l’avversario. È comprensibile che non siano inclini al muro-contro-muro.

In questa vicenda, proprio le ricadute occupazionali della conversione all’elettrico sono un punto critico, su cui le case annunciano tagli senza però spingersi oltre. I sindacati hanno ben capito la posta in gioco e sarebbero invece pronti a ingaggiarsi coi governi, avendolo nel DNA, ma sono bloccati dal dilemma: difendere gli interessi dei lavoratori o sostenere la narrazione green, idealmente domiciliata a sinistra?

Mai come adesso lavoratori e imprese, incluso l’indotto, i soli ad avere una visione realistica e concreta delle cose, dovrebbero parlarsi e agire insieme, per salvare l’industria da una deriva fantasiosa e ideologica.

 

Articolo pubblicato su Quattroruote a gennaio 2022 a firma di Pier Luigi del Viscovo

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