“Ma una crescita solida arriverà solo fra cinque anni”
Il primo dato “non negativo” del Pil dopo otto trimestri consecutivi di cali sembra essere la classica luce in fondo al tunnel ma per Pier Luigi del Viscovo, economista e docentedell’Università Luiss, la metafora è quanto meno azzardata.
Professor del Viscovo, per quali motivi ritiene che il dato del Pil del terzo trimestre non possa essere considerato un primo importante passo verso l’uscita dalla crisi?
Il fatto che il Pil cada un po’ meno va solo che bene e che ci possa essere un po’ di ripresa lo dicono i numeri. Ad oggi però non c’è stato un cambio strutturale dell’economia e penso che il miglioramento in atto sia dovuto semplicemente al fatto che ci sono state le elezioni e che abbiamo un nuovo governo, che ha preso il posto del commissariamento dell’Italia da parte di Monti e Draghi. Il problema vero è che finora non sono neanche state poste le premesse per una ripresa sostenibile e finché questo non avverrà non è possibile prevedere un’uscita dalla crisi. A chi mi chiede quando questo avverrà, rispondo che ci vorranno 24 mesi per superare la fase più critica e 48-60 mesi per arrivare a una fase espansiva solida. Solo che il conteggio non è ancora partito e non vedo, almeno al momento, quando possa partire.
Che cosa ci vuol per far partire il conteggio?
Bisogna agevolare la produzione di ricchezza, solo così si può creare nuova occupazione e quindi nuovi consumi. Per combattere la disoccupazione bisogna occuparsi degli occupati e non dei disoccupati. Bisogna mettere i primi in condizione di produrre maggiore ricchezza che, a sua volta, stimolerebbe nuovi consumi, creando così infine le premesse per l’assunzione di nuove persone. Il governo dovrebbe occuparsi non delle industrie che chiudono ma di quelle che non aprono. Invece ci si occupa della zona di Taranto solo quando l’Ilva chiude ma non si creano le condizioni affinché in Puglia possano nascere nuove imprese. Affinché questo succeda bisogna prima di tutto capire perché non aprono.
Quale è la sua analisi in proposito?
È necessaria meno burocrazia, un minor prelievo fiscale e, più di ogni altra cosa, è necessario un progetto economico che ad oggi non vedo. Anzi progetti ce ne dovrebbero essere più di uno; si potrebbe per esempio puntare sui beni culturali, su quelli ambientali, sul turismo. Lo Stato dovrebbe creare una culla entro cui chi vuol fare iniziative possa trovare una strada spianata e non continui ostacoli. In Italia se hai più di 2000 dipendenti puoi accampare pretese, se invece vuoi partire ti trovi davanti difficoltà insormontabili. Inoltre non ci devono essere scioperi, soprattutto dei trasporti, perché questo ha un impatto negativo sulla produttività; purtroppo però accade proprio il contrario. Tornando poi agli indicatori economici a fronte di un Pil in timida ripresa ce ne sono altri che mi preoccupano molto.
A quali si riferisce?
All’inflazione, prima di tutto. A ottobre 2012 è scesa fino allo 0,8%, mentre dodici mesi prima era al 2,6%. C’è un rischio serio di entrare in un loop di deflazione che non sarebbe solo pericolosa ma anche difficile da superare per un’economia debole come quella italiana. Inoltre il problema non è solo italiano ma globale. Nel 2012 i Paesi Ocse avevano un’inflazione media al 2,2%, adesso all’1,5%. Quando i prezzi scendono i consumatori rinviano gli acquisti. Guardiamo per esempio alle vendite natalizie: oggi si aspetta fino alla fine di gennaio per vedere come è andata la stagione; a Natale si comprano due sciocchezze da mettere sotto l’albero ma gli acquisti veri li si fa dopo la Befano quando iniziano i saldi. Invito poi a guardare un indicatore come quello che misura la velocità di circolazione della moneta, che è un moltiplicatore dei consumi: nonostante una piccola risalita siamo a livelli molto bassi.
Articolo pubblicato su Il Secolo XIX l’11 dicembre 2013