Non più oggetti da salone

 In Bollettino, Nuovo

Il mercato dell’auto è in grande sofferenza! Ormai è un mantra che conoscono e recitano tutti, scuotendo la testa. Poi però, il venerdì pomeriggio, fermi al volante della propria auto mentre cercano di evadere per il week-end, molti si pongono un’altra domanda: ma dove vanno tutte queste macchine? Ecco, questa è più o meno la questione. Sotto gli occhi di tutti. Le vendite di auto sono in diminuzione, mentre crescono i consumi legati alla mobilità privata automobilistica (car-based, direbbero gli anglosassoni). Ma qualcosa sta lentamente cambiando.

In effetti, gli unici a lamentarsi della domanda in calo sono i costruttori e i venditori di auto. Le vendite sono in calo. Nel 2011 abbiamo speso 30,7 miliardi di euro per comprare nuove automobili: l’anno precedente ne avevamo speso 33,4, mentre nel decennio 2000-2009 abbiamo viaggiato sopra i 41 miliardi all’anno. È quanto emerge dalla consueta analisi del Centro Studi Fleet&Mobility, che elabora costantemente i dati relativi alle immatricolazioni di auto in Italia diffusi mensilmente dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti fornendo il loro corrispettivo in valore economico. Per chi è abituato a contare le macchine e non i soldi, prima si vendevano in media 2,3 milioni di pezzi all’anno, laddove nel 2011 ne sono stati immatricolati 1.750.000.

Ma cosa c’entra col fatto che tutti stanno nel traffico? Beh, in realtà qualcosa c’entra. Se i costruttori la smettessero di considerare le macchine degli oggetti immobili da salone e riuscissero a immaginare – ci vuole fantasia, lo capisco – che la gente ci va in giro, si accorgerebbero di alcune cose.

La prima è che se costruisci auto di maggior qualità le vendi meglio, sì, ma poi durano più a lungo, invecchiando più lentamente; dunque, diventa meno urgente sostituirle con altre nuove. Per comprare una nuova auto servono tre cose: un bel prodotto attrattivo, il finanziamento per pagarlo e un’auto vecchia ormai inadeguata. Oggi il secondo e il terzo elemento mancano spesso all’appello. Sorvolando sulla stretta creditizia (di cui siamo ormai tutti esperti), è un fatto che molte auto tra sette e dieci anni sono ancora abbastanza in linea con le esigenze degli automobilisti, per confort e per linea; un po’ meno per sicurezza e consumi, ma neanche tanto, e comunque pazienza.

È una parte della spiegazione della minor domanda di auto: il ciclo di sostituzione si è allungato. Numeri alla mano, le macchine prese dalle aziende in noleggio a lungo termine sono passate in pochi anni da una rotazione media di 35 mesi a circa 41. In termini di vendite, ciò significa che per ogni 100mila auto in uso a queste aziende, prima ne venivano sostituite ogni anno 34mila, oggi 29mila (il 15% in meno). Ma queste sono le imprese, si dirà. Qual è il dato relativo ai privati? È proprio questo il punto. I noleggiatori registrano da anni il tasso di sostituzione, perché il loro business deriva proprio dall’uso dell’auto. I costruttori evidentemente non ritengono questo un dato importante. In più occasioni hanno affermato chiaramente che si aspettano di trovare ogni anno almeno 2 milioni di acquirenti. Se non ci sono, bisogna fare in modo di crearli. Fa quasi tenerezza, eppure è così.

Tornando alla realtà “stradale”, la seconda cosa che salta agli occhi di qualsiasi osservatore è che quasi tutti hanno un’auto. Per acquistarne una nuova devono disfarsi della vecchia: si chiama mercato di sostituzione. Ciò che spesso si ignora è il corollario: se hai già un’auto, puoi anche aspettare a cambiarla. Ma puoi aspettare o rinunciare a usarla? No. Non puoi. Devi andare al lavoro. Devi portare i bimbi in giro. Devi avere una tua autonomia di movimento. Ma per usare l’auto (anche se vecchia) ti servono alcune cose: strade, parcheggi, carburante e assicurazione. Oggi le risorse dei clienti delle concessionarie sono prosciugate da altri. Mentre i prezzi delle auto aumentano meno dell’inflazione dal 1995, negli ultimi 5 anni i carburanti sono aumentati di 45 punti percentuali e le assicurazioni di 60 (ma rispetto al 1995 costano il triplo): una domanda completamente anelastica, almeno fino a poco tempo fa. Ora qualcosa sta cambiando. Complice la stretta fiscale che colpisce e contrae i consumi di massa. A causa del caro-benzina, sempre più spesso ci si chiede se usare o meno l’auto per degli spostamenti che hanno delle alternative, sebbene imperfette. Nelle città l’uso poi è mortificato dall’assenza di parcheggi, che hanno trasformato le strade in posteggi, riducendo lo spazio per la circolazione. Il traffico infine è il grande deterrente agli spostamenti in/out tra la città e le fasce suburbane; fanno sorridere certe pubblicità immobiliari di residenze a 20 minuti dal centro città: sì, alle 4 di notte.

Meno si può usare l’auto, più ci si interroga se sia il caso di averne una terza o una seconda in famiglia, gravate da un sistema di assicurazioni che è una vergogna nazionale.

Questo è lo scenario al quale si aggiunge – è innegabile – una congiuntura che scoraggia l’acquisto di un bene così importante. Così, la previsione Unrae di 1.680.000 immatricolazioni – fatta solo due mesi fa – appare ormai superata al ribasso dall’andamento di questi primi due mesi, che punta più verso il milione e mezzo.

A fronte di questi numeri, due mosse. La prima, immediata: prendere atto che la domanda è su livelli bassi e rimodellare l’intero sistema di vendita, prima che venga comunque travolto da vendite incapaci di sostenerne il costo. Oggi distribuire e vendere automobili costa troppo, in termini di addetti, di impianti, di allestimenti. Bisogna intervenire su tutto per restare a galla. Questo è compito dei costruttori e dei distributori. La seconda, di medio periodo: un’azione di lobbying efficace per riportare sulle auto una parte dei soldi spesi per assicurazioni, carburanti e multe per divieto di sosta. Questo spetta alle associazioni di categoria.

Articolo pubblicato su L’Imprenditore di marzo 2012 a firma di Pier Luigi del Viscovo

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