Oltre la Corporate Social Responsibility. Rethinking capitalism creating shared value

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Il sistema capitalistico è sotto assedio. Negli ultimi anni, il mondo degli affari è stato criticato e considerato la causa principale di problemi sociali, ambientali ed economici, e sono in molti a ritenere che le aziende stiano prosperando a spese delle loro comunità. La fiducia nel business ha toccato nuovi minimi, portando le Amministrazioni pubbliche a varare politiche che minacciano la competitività e minano alla base la crescita economica. Il mondo del business è caduto in un circolo vizioso.

Gran parte del problema sta nelle aziende stesse, che rimangono intrappolate in un approccio superato e ristretto alla creazione di valore. Concentrate come sono a ottimizzare la performance finanziaria di breve termine, non vedono i principali bisogni insoddisfatti del mercato e ciò che può influenzare maggiormente il loro successo a lungo termine. Perché, altrimenti, dovrebbero ignorare il benessere dei propri clienti, l’impoverimento delle risorse naturali che sono essenziali per la loro attività, l’affidabilità dei fornitori e le difficoltà economiche che attraversano le comunità in cui loro producono e vendono i propri prodotti?

Le cose non devono andare per forza in questo modo, sostengono Porter della Harvard Business School e Kramer, amministratore delegato della società di consulenza sull’impatto sociale FSG. Le aziende potrebbero riconciliare affari e società civile se solo ridefinissero il proprio obiettivo nei termini di creazione di “valore condiviso”, il che significa generare valore economico in modi tali che producano valore anche per la società, affrontando le sfide che questa si trova a fronteggiare.

Un approccio basato sul valore condiviso è quello che rimette in contatto il successo di un’azienda con il progresso sociale.

Le aziende ci possono riuscire in tre modi distinti: riconcependo prodotti e servizi, ridefinendo la produttività all’interno della catena del valore e costruendo cluster settoriali di sostegno dove sorgono le varie sedi dell’azienda.

Riconcepire prodotti e servizi. Nel business, abbiamo trascorso decenni ad analizzare e a promuovere la domanda, ignorando la questione più importante e basilare di tutte: il nostro prodotto soddisfa i bisogni dei nostri clienti? E quali esattamente?

Per un’azienda, il punto di partenza per creare questa forma di valore condiviso è identificare tutti i bisogni, tutti i benefici e tutti i danni di carattere sociale che sono o potrebbero essere incorporati nei suoi prodotti.

Ridefinire la produttività all’interno della catena del valore. Le opportunità di creazione di valore condiviso nascono perché i problemi sociali possono determinare dei costi economici nella catena del valore dell’azienda.

Wal-Mart, per esempio, è riuscita ad affrontare entrambi i problemi riducendo il packaging e ridisegnando le rotte dei camion per eliminare 100 milioni di miglia dai percorsi di consegna nel 2009, risparmiando 200 milioni di dollari pur consegnando maggiori volumi di prodotti. L’innovazione nell’eliminazione della plastica utilizzata nei punti vendita le ha fatto risparmiare milioni di dollari in termini di minori costi di conferimento alle discariche.

Costruire cluster settoriali di sostegno. Nessuna azienda è un’entità a sé stante. La produttività e l’innovazione vengono pesantemente influenzate dai cluster, o concentrazioni geografiche di imprese collegate, fornitori, terzisti, enti accademici, associazioni e dall’infrastruttura logistica del settore (come i “distretti industriali” italiani). Quando il sostegno del cluster è debole o manca, la produttività diminuisce. Un sistema scolastico inadeguato impone costi di formazione successiva e di produttività. La minore disponibilità diffusa di reddito limita la domanda di consumo e genera degrado.

Purtroppo, poiché le aziende si stanno isolando sempre di più dalle comunità in cui operano, la loro influenza nella soluzione di questi problemi si è attenuata, nonostante ne subiscano il costo incrementale. Un aspetto critico – che si riscontra nei Paesi emergenti come nelle economie mature – è la creazione/mantenimento di mercati rigidi, poco aperti e poco trasparenti. In questi mercati che sono dunque poco efficienti se non addirittura monopolistici, dove i lavoratori sono sfruttati e/o discriminati e la formazione dei prezzi è iniqua e non trasparente, la produttività ne risente.

Diverse società note per il loro approccio rigido al business (fra cui GE, Wal-Mart, Nestlé, Johnson & Johnson e Unilever) hanno già avviato importanti iniziative in questi ambiti. Nestlé, per esempio, ha riprogettato i suoi processi di raccolta, lavorando a stretto contatto con i piccoli coltivatori delle aree più povere che sono rimasti bloccati in un ciclo di scarsa produttività e qualità, oltre che di degrado ambientale. Nestlé ha offerto consigli sulle pratiche di coltivazione, ha aiutato i contadini ad assicurarsi stock di piante, fertilizzanti e pesticidi, e ha cominciato a pagare loro un sovrapprezzo per chicchi migliori. Raccolti e qualità più elevati hanno aumentato il reddito di questi agricoltori, l’impatto ambientale delle fattorie si è ridotto e la fornitura sicura di buon caffè è cresciuta in modo significativo. È stato creato del valore condiviso.

Il profitto non è tutto uguale. Questo concetto è stato disperso a causa della visione ristretta e di breve termine imposta dai mercati finanziari e da gran parte del pensiero manageriale (con la sola eccezione di Peter Drucker). I profitti che coinvolgono una finalità sociale rappresentano una forma più elevata di capitalismo, che farà progredire la società più rapidamente, consentendo al tempo stesso alle imprese di crescere di più. Si crea un ciclo positivo di prosperità per le aziende e per la comunità, da cui derivano dei profitti destinati a durare nel tempo.

La creazione di valore condiviso presume il rispetto della legge e degli standard etici, oltre all’impegno di mitigare eventuali danni causati dalle imprese, ma va oltre. Nell’economia globale, l’opportunità di creare valore economico attraverso la creazione di valore sociale sarà una delle forze più idonee a sostenere la crescita. Questo approccio rappresenta un modo nuovo di intendere i clienti, la produttività e i fattori esterni che influenzano il successo delle imprese. Mette in luce gli enormi bisogni da soddisfare, i grandi e nuovi mercati da servire e i costi interni dei deficit sociali e di comunità – nonché i vantaggi competitivi che si possono ottenere agendo su questi fronti.

Il concetto di valore condiviso potrebbe cambiare il volto del capitalismo e le sue relazioni con la società intera, oltre che guidare le prossima ondata di innovazione e crescita della produttività dell’economia globale e aprire gli occhi dei manager all’enorme quantità di bisogni umani che vanno ancora soddisfatti, ai grandi mercati che aspettano solo di essere serviti e ai costi interni dei deficit sociali (ma anche ai vantaggi competitivi che possono derivare dal risolverli).

La nostra comprensione del vero significato del valore condiviso è, però, ancora agli inizi e per coglierlo appieno i manager dovranno acquisire nuove skill e nuovi saperi, mentre il settore pubblico dovrà capire come regolarsi in modo da agevolare la crescita del valore condiviso e non, invece, ostacolarne la diffusione.

Non tutti i problemi sociali possono essere risolti con soluzioni basate sul valore condiviso. Ma il valore condiviso offre alle imprese la possibilità di utilizzare le loro competenze, le loro risorse e la loro capacità manageriale per promuovere il progresso sociale. E di farlo con modalità che difficilmente potrebbero eguagliare anche le meglio intenzionate organizzazioni governative e del settore sociale. Così facendo, in fondo alla strada le imprese torneranno a guadagnare il rispetto della società.

Il sistema capitalistico è sotto assedio. Negli ultimi anni, il mondo degli affari è stato criticato e considerato la causa principale di problemi sociali, ambientali ed economici, e sono in molti a ritenere che le aziende stiano prosperando a spese delle loro comunità. La fiducia nel business ha toccato nuovi minimi, portando le Amministrazioni pubbliche a varare politiche che minacciano la competitività e minano alla base la crescita economica. Il mondo del business è caduto in un circolo vizioso.

Gran parte del problema sta nelle aziende stesse, che rimangono intrappolate in un approccio superato e ristretto alla creazione di valore. Concentrate come sono a ottimizzare la performance finanziaria di breve termine, non vedono i principali bisogni insoddisfatti del mercato e ciò che può influenzare maggiormente il loro successo a lungo termine. Perché, altrimenti, dovrebbero ignorare il benessere dei propri clienti, l’impoverimento delle risorse naturali che sono essenziali per la loro attività, l’affidabilità dei fornitori e le difficoltà economiche che attraversano le comunità in cui loro producono e vendono i propri prodotti?

Le cose non devono andare per forza in questo modo, sostengono Porter della Harvard Business School e Kramer, amministratore delegato della società di consulenza sull’impatto sociale FSG. Le aziende potrebbero riconciliare affari e società civile se solo ridefinissero il proprio obiettivo nei termini di creazione di “valore condiviso”, il che significa generare valore economico in modi tali che producano valore anche per la società, affrontando le sfide che questa si trova a fronteggiare.

Un approccio basato sul valore condiviso è quello che rimette in contatto il successo di un’azienda con il progresso sociale.

Le aziende ci possono riuscire in tre modi distinti: riconcependo prodotti e servizi, ridefinendo la produttività all’interno della catena del valore e costruendo cluster settoriali di sostegno dove sorgono le varie sedi dell’azienda.

Riconcepire prodotti e servizi. Nel business, abbiamo trascorso decenni ad analizzare e a promuovere la domanda, ignorando la questione più importante e basilare di tutte: il nostro prodotto soddisfa i bisogni dei nostri clienti? E quali esattamente?

Per un’azienda, il punto di partenza per creare questa forma di valore condiviso è identificare tutti i bisogni, tutti i benefici e tutti i danni di carattere sociale che sono o potrebbero essere incorporati nei suoi prodotti.

Ridefinire la produttività all’interno della catena del valore. Le opportunità di creazione di valore condiviso nascono perché i problemi sociali possono determinare dei costi economici nella catena del valore dell’azienda.

Wal-Mart, per esempio, è riuscita ad affrontare entrambi i problemi riducendo il packaging e ridisegnando le rotte dei camion per eliminare 100 milioni di miglia dai percorsi di consegna nel 2009, risparmiando 200 milioni di dollari pur consegnando maggiori volumi di prodotti. L’innovazione nell’eliminazione della plastica utilizzata nei punti vendita le ha fatto risparmiare milioni di dollari in termini di minori costi di conferimento alle discariche.

Costruire cluster settoriali di sostegno. Nessuna azienda è un’entità a sé stante. La produttività e l’innovazione vengono pesantemente influenzate dai cluster, o concentrazioni geografiche di imprese collegate, fornitori, terzisti, enti accademici, associazioni e dall’infrastruttura logistica del settore (come i “distretti industriali” italiani). Quando il sostegno del cluster è debole o manca, la produttività diminuisce. Un sistema scolastico inadeguato impone costi di formazione successiva e di produttività. La minore disponibilità diffusa di reddito limita la domanda di consumo e genera degrado.

Purtroppo, poiché le aziende si stanno isolando sempre di più dalle comunità in cui operano, la loro influenza nella soluzione di questi problemi si è attenuata, nonostante ne subiscano il costo incrementale. Un aspetto critico – che si riscontra nei Paesi emergenti come nelle economie mature – è la creazione/mantenimento di mercati rigidi, poco aperti e poco trasparenti. In questi mercati che sono dunque poco efficienti se non addirittura monopolistici, dove i lavoratori sono sfruttati e/o discriminati e la formazione dei prezzi è iniqua e non trasparente, la produttività ne risente.

Diverse società note per il loro approccio rigido al business (fra cui GE, Wal-Mart, Nestlé, Johnson & Johnson e Unilever) hanno già avviato importanti iniziative in questi ambiti. Nestlé, per esempio, ha riprogettato i suoi processi di raccolta, lavorando a stretto contatto con i piccoli coltivatori delle aree più povere che sono rimasti bloccati in un ciclo di scarsa produttività e qualità, oltre che di degrado ambientale. Nestlé ha offerto consigli sulle pratiche di coltivazione, ha aiutato i contadini ad assicurarsi stock di piante, fertilizzanti e pesticidi, e ha cominciato a pagare loro un sovrapprezzo per chicchi migliori. Raccolti e qualità più elevati hanno aumentato il reddito di questi agricoltori, l’impatto ambientale delle fattorie si è ridotto e la fornitura sicura di buon caffè è cresciuta in modo significativo. È stato creato del valore condiviso.

Il profitto non è tutto uguale. Questo concetto è stato disperso a causa della visione ristretta e di breve termine imposta dai mercati finanziari e da gran parte del pensiero manageriale (con la sola eccezione di Peter Drucker). I profitti che coinvolgono una finalità sociale rappresentano una forma più elevata di capitalismo, che farà progredire la società più rapidamente, consentendo al tempo stesso alle imprese di crescere di più. Si crea un ciclo positivo di prosperità per le aziende e per la comunità, da cui derivano dei profitti destinati a durare nel tempo.

La creazione di valore condiviso presume il rispetto della legge e degli standard etici, oltre all’impegno di mitigare eventuali danni causati dalle imprese, ma va oltre. Nell’economia globale, l’opportunità di creare valore economico attraverso la creazione di valore sociale sarà una delle forze più idonee a sostenere la crescita. Questo approccio rappresenta un modo nuovo di intendere i clienti, la produttività e i fattori esterni che influenzano il successo delle imprese. Mette in luce gli enormi bisogni da soddisfare, i grandi e nuovi mercati da servire e i costi interni dei deficit sociali e di comunità – nonché i vantaggi competitivi che si possono ottenere agendo su questi fronti.

Il concetto di valore condiviso potrebbe cambiare il volto del capitalismo e le sue relazioni con la società intera, oltre che guidare le prossima ondata di innovazione e crescita della produttività dell’economia globale e aprire gli occhi dei manager all’enorme quantità di bisogni umani che vanno ancora soddisfatti, ai grandi mercati che aspettano solo di essere serviti e ai costi interni dei deficit sociali (ma anche ai vantaggi competitivi che possono derivare dal risolverli).

La nostra comprensione del vero significato del valore condiviso è, però, ancora agli inizi e per coglierlo appieno i manager dovranno acquisire nuove skill e nuovi saperi, mentre il settore pubblico dovrà capire come regolarsi in modo da agevolare la crescita del valore condiviso e non, invece, ostacolarne la diffusione.

Non tutti i problemi sociali possono essere risolti con soluzioni basate sul valore condiviso. Ma il valore condiviso offre alle imprese la possibilità di utilizzare le loro competenze, le loro risorse e la loro capacità manageriale per promuovere il progresso sociale. E di farlo con modalità che difficilmente potrebbero eguagliare anche le meglio intenzionate organizzazioni governative e del settore sociale. Così facendo, in fondo alla strada le imprese torneranno a guadagnare il rispetto della società.

Articolo pubblicato su Car Fleet di ottobre 2011 a firma di Pier Luigi del Viscovo

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