A piccoli passi verso la mobilità sostenibile

 In Bollettino, Nuovo

Investire in strade, parcheggi, intermodalità e furgoni elettrici aiuterebbe l’ambiente più dei blocchi auto estemporanei.

Adesso che il dibattito sull’ambiente in Europa sta rivolgendo la sua attenzione verso le auto, e verso i diesel in particolare, il tema della mobilità sostenibile accende gli animi. Dopo l’ultimatum Ue all’Italia sull’inquinamento eccessivo (con procedure d’infrazione che potrebbero sfociare in multe miliardarie), cui è seguito un maxi-patto fra le regioni del Nord per fronteggiare gli sforamenti dei limiti, il nostro Paese è chiamato a prendere azioni riguardo alla mobilità sostenibile. Per diminuire seriamente le emissioni nocive è necessario adottare provvedimenti slegati da posizioni ideologiche e preconcette.

Concentriamo l’attenzione su quelle prodotte dal traffico su gomma, tralasciando che si tratta solo di una parte delle emissioni che tutti vogliamo aggredire. Uno dei concetti chiave per valutare l’impatto dei trasporti sull’ambiente è la loro fluidità. Il traffico di mezzi pesanti è aumentato enormemente negli ultimi 50 anni, mentre la nostra rete stradale extra-urbana non si è adeguata. I moderni camion di ultima generazione hanno dei propulsori che inquinano molto meno della media di quelli in circolazione. Ma se restano fermi in coda, anche loro emettono scarichi che si potrebbero e dovrebbero evitare, potenziando le strutture ferroviarie e marittime, in modo da deviarvi tutto il traffico superiore ai 6/700 chilometri. Incidentalmente, visto che nel trasporto su gomma gli operatori italiani sono attaccati dai trasportatori dell’Est Europa (nonostante i limiti imposti al cabotaggio), simili investimenti in infrastrutture farebbero entrare nella torta del trasporto operatori italiani del mare e del ferro. Una politica industriale ambientalista investirebbe nell’intermodalità.

Poi ci sono i trasporti commerciali leggeri, quelli del cosiddetto ultimo miglio, che sono importantissimi nell’analisi dell’inquinamento nei centri urbani. Intanto, perché circolano prevalentemente nelle città, impattando direttamente sulla qualità dell’aria che respiriamo. Inoltre, perché sono previsti in crescita esponenziale, a sostegno dello sviluppo dell’e-commerce, che negli ultimi 4 anni ha raddoppiato il suo valore (e le proiezioni sono ancora di maggior penetrazione). Infine, perché (questi sì) sarebbero sostituibili con furgoni a propulsione elettrica, visto che rispetto alle auto qualche ostacolo in meno davanti ce l’hanno. Per prima cosa, ogni sera vengono parcheggiati in compound dove è possibile ricaricare le batterie, a differenza di quelle poche vetture che non “abitano” in villa o box privati. In secondo luogo, percorrono ogni giorno un certo numero di chilometri, anche contenuto, senza esigenze di picchi straordinari, che invece le auto devono soddisfare. D’accordo, ci sono altri ostacoli che rimangono per i furgoni elettrici, quali il costo, il valore residuo e le batterie, ma la partenza è meno in salita, rispetto alle aute elettriche.

Ma veniamo alle macchine e veniamo alle città. I tre quarti degli spostamenti quotidiani della popolazione avvengono in macchina o in moto e così sarà anche nel 2030, secondo le previsioni del Censis, che stimano pure la penetrazione dei mezzi pubblici collettivi stabile, intorno al 10% attuale. Allora, sarà bene occuparsi non solo di immettere sul mercato propulsori ancora meno inquinanti, quanto piuttosto di cercare di ridurre le emissioni di tutti quelli in circolazione. Come? Facendoli circolare lo stretto necessario. Secondo un’indagine Tns per il World mobility observatory, solo due terzi del tempo di utilizzo delle auto è dedicato allo spostamento effettivo, mentre la restante parte è assorbita per un nono dal traffico e per due noni dalla ricerca di un parcheggio. Più avanti, gli esperimenti di car sharing odierni diventeranno una realtà capace di ridurre il numero di auto parcheggiate (ricordiamo che tutti gli studi posizionano il tempo di utilizzo delle macchine tra il 4 e l’8%). Ma nel frattempo urge aumentare l’offerta di parcheggi, per liberare spazio su strada e rendere il traffico più fluido. Non parliamo di parcheggi di scambio in periferia, ma di riqualificare qualche palazzo in centro e farne dei multipiani. È anche auspicabile che presto si avvii una digitalizzazione della rete stradale, in modo che il traffico possa essere smistato in tempo reale in base alle convenienze, fino ad arrivare un giorno ad usare le corsie in ambo i sensi di marcia, in base alle esigenze dei diversi momenti, come le rotaie ferroviarie. La digitalizzazione delle strade potrebbe magari – auspicabilmente – fare capolino nel piano di investimenti in infrastrutture da oltre 20 miliardi in 15 anni (per strade, ferrovie e porti) ripartiti ieri dal Governo nel Fondo di investimento (previsto dalla legge di Bilancio) e nel nuovo piano da 2,2 miliardi di investimenti di Autostrade per l’Italia per il periodo 2018-2023. Ci sono, invece, interventi che servono a poco, come i blocchi alla circolazione delle auto. Oltre a non avere impatti positivi duraturi sull’aria, ne hanno di negativi. La circolazione privata non è un capriccio, ma l’ingranaggio che permette di lavorare e produrre ricchezza, anche quando dedicata allo shopping e al tempo libero. Se poi blocco deve esserci, perché non fermare le caldaie dei riscaldamenti, che sono molto più obsolete e inquinanti?

Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 30 maggio 2017, a firma di Pier Luigi del Viscovo

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