
TUTTI I MILIARDI DELL’AUTO NUOVA 2015 MENTRE IL FUTURO E’ IN MANO AL CLIENTE
Previsioni. E visioni. La radice è la stessa, ma poi hanno preso strade diverse nei significati. Entrambe importanti, ma non vanno confuse. È meglio per tutti. Perché così è possibile avere una previsione di un certo tipo, e poi anche una visione, di un altro tipo. Non c’è contraddizione, tenendole distinte.
Ma prima del domani, i fatti. 4 miliardi spesi nel 2015 più dell’anno precedente per comprare macchine nuove. Cameriere, champagne! “La più lunga crisi del mercato degli autoveicoli che l’Italia abbia mai visto è conclusa“, ha dichiarato il presidente di Federauto, Filippo Pavan Bernacchi. Circa 3 miliardi tirati fuori dai privati. Difficile lagnarsi, specie se più d’uno di quelli che avrebbero da lamentarsi non è più nel business – non lo dimentichiamo. Questa crisi ha operato una selezione cruenta nel sistema distributivo e ha ridimensionato le strutture di chi è sopravvissuto. Non ha invece messo in discussione il modello del salone monomarca, che continua a barcamenarsi in equilibrio precario tra la copertura del territorio e le dimensioni necessarie a stare in piedi. Evidentemente, è un sistema profondamente cattolico, che non persegue la felicità su questa terra. Amen!
L’altro quasi miliardo l’hanno messo i noleggiatori: 300 milioni quelli del rent-a-car per le macchine dell’Expo – troppe! Meno male che poi sono servite nelle località estive. Ben 600 milioni il lungo termine, il 15% più del 2014. A che servivano tutte queste nuove auto? A sostituire vecchi contratti in scadenza? Sì, certo, ma non tutte. Del resto, se gli acquisti superano le vendite non sono sostituzioni. Il NLT sta crescendo molto nello small business, le piccole società, quelle che hanno immatricolato per appena 200 milioni più del 2014, meno del 4%: come mai? Tutti brindano e solo questo segmento arranca? D’accordo, ci sono stati meno km0. Però forse un secondo sguardo sarebbe il caso di darlo, per capire come evitare che questa clientela, la migliore e più ricca sia nella vendita sia nel post-vendita, migri verso il noleggio escludendo i concessionari. Anche perché in questa partita, a differenza di ciò che fu per le flotte medio-grandi, il jolly non è il prezzo ma il servizio personalizzato, e sta nel mazzo dei concessionari.
Carlo Alberto Jura, presidente dei concessionari del gruppo FCA, afferma che i dealer sono pronti a “raccogliere le nuove sfide che il futuro gli riserverà“. Bene, due sono già sul tavolo: la sostenibilità del modello distributivo e la protezione della clientela migliore attraverso il servizio.
Le previsioni. Dalla scorsa estate sono disponibili quelle dell’ufficio studi di Unrae, che le ha ribadite a dicembre, prendendo le distanze da altri. Chi può dubitare che i costruttori abbiano la visione più ottimistica possibile? Eppure, la loro previsione è un’altra cosa.
Best case. Worst case. Most likely. Si fanno così le previsioni, ma non è: ottimisti – pessimisti – la media. Ogni caso sconta diversamente le dinamiche alla base della domanda: propensione al consumo di beni semi-durevoli, obsolescenza reale/percepita del parco circolante, invecchiamento della popolazione abbiente, occupazione giovanile, pressione dell’offerta, stimoli governativi, sentiment generale dei consumatori, fabbisogno del rent-a-car, politiche dei noleggiatori, condizioni di utilizzo delle vetture (traffico, parcheggi, inquinamento), strumenti alternativi di mobilità, prezzo dei carburanti. Solo per citare i principali.
Insomma, le immatricolazioni di auto sono un fenomeno sociale, come il consumo di carne o il numero di laureati che il Paese esprime. In particolare, le automobili servono a muovere le persone, in Italia più che altrove, data la scarsa efficienza del trasporto pubblico locale. Ma sono anche oggetti durevoli e ingombranti. La popolazione italiana cambia e modifica le sue abitudini di spostamento in maniera lieve nell’arco di due o tre anni. Per registrare fenomeni significativi occorre guardare ai decenni. Così, data una certa popolazione in movimento con l’auto, l’immissione di un minore o maggiore quantitativo di automobili è funzione di due variabili: il numero di macchine a disposizione delle persone e il ciclo di sostituzione (leggasi rottamazione) di auto vecchie. In altre parole, è lecito prevedere che gli Italiani immatricolino nei prossimi anni un numero di vetture più elevato di oggi, diciamo di 400mila unità all’anno. Ma sostenerlo presuppone delle ipotesi sottostanti. Una è associare la crescita a un incremento del parco circolante (più macchine per abitante). Sarebbe un’inversione di tendenza rispetto a quanto registrato negli ultimi anni. Alternativamente, è possibile che invece gli Italiani accelerino il tasso di rottamazione. Anche questa sarebbe un’inversione di tendenza. Ma potrebbe essere indotta con uno stimolo, o incentivo, per usare una parola che andava di moda anni fa. Ora è un’idea – si pensa ma non si dice.
Le statistiche, che i centri studi conoscono ma i lettori forse meno, dicono che nel 2008 circolavano 25.731.000 di auto ante Euro 4. Nel 2014 (dopo la rottamazione più forte e onerosa mai vista – costata all’erario oltre 1,2 miliardi, al netto dell’extra gettito IVA) erano scese a 17.771.000: gli Italiani hanno rottamato/radiato in sei anni circa 8 milioni di auto cosiddette inquinanti. La fetta più grossa ha riguardato le Euro 2 (da 9.1 a 5.5 milioni, 40%) e le Euro 3 (da 8.4 a 6.9 milioni, 18%). Solo 1.5 milioni di Euro 1 sono scomparse e appena 1.2 milioni di Euro 0 (da 5.2 a 4.0 milioni, 23%). Il bello è che in aggiunta sono uscite dal parco circolante quasi 2 milioni di Euro 4 (molte radiate perché vendute all’estero da commercianti e noleggiatori).
L’analisi racconta della vita media delle auto, da non confondere con l’età media – molto utile ai riparatori. Ossia risponde alla domanda: quando gli Italiani ritengono che un’auto sia vecchia e debba scomparire? La risposta è che ognuno giudica per conto suo. Certo, alcuni fattori razionali influenzano. Su tutti, l’usura (e i chilometri percorsi dalle auto sono in calo da anni) e la qualità del prodotto in circolazione. Inoltre, le macchine non sono quelle che si vendono in salone, ma quelle che girano per strada. E questo è un problema. Perché la capacità delle strade di farle circolare è sempre meno sufficiente. Non parliamo nemmeno poi di parcheggiarle. Così, ho la macchina ma uso il taxi o il treno: funziona? Non funziona. Quel vecchio luogo comune, secondo cui l’Autostrada del Sole sarebbe stata fatta per favorire la Fiat, era sì un luogo comune, ma qualcosa voleva dire. Chi vuole vendere più macchine, non chieda incentivi, ma opere di bene: strade e parcheggi.
Infine, e per fortuna, ci sono le ragioni del cuore. Come negare la carica emotiva che lega gli Italiani alle macchine, alla loro bellezza e allo status sociale che interpretano? È probabilmente proprio questa che ha impedito un crollo maggiore nel 2012/2013 e che adesso sta trainando la ripresa. L’auto non è malata, gode di ottima salute presso il pubblico e molte non mostrano affatto l’età che hanno.