Rapporto CVO: dati e analisi del settore automobilistico

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Il 2015 è stato un anno ‘crocevia’ nella storia di questo secolo. A parte la gravità storica di un singolo evento, è da sottolineare la convergenza di alcuni fenomeni che trovano origini diverse, se non in alcuni casi scollegate le une dalle altre.

Per fare un esempio, le Torri Gemelle sono state probabilmente l’evento che ha segnato, finora, questo inizio di millennio – ma non possiamo dire che nel 2001 ci sia stata una convergenza di tanti fenomeni, magari proprio a causa dell’enormità dell’11 settembre.

In altri termini, tutte le aree del Mondo hanno prodotto dinamiche socio-economiche che poi nel 2015 hanno contemporaneamente occupato la scena, dando luogo a sviluppi che ancora sono in corso.

Le potenze economiche emergenti, cosiddetti Paesi BRIC’s, hanno rallentato nel complesso la spinta alla crescita mondiale. La Cina e l’India sono cresciute meno delle attese. La prima per il sorgere di esigenze interno di allineamento, sia nelle relazioni sociali legate all’ambiente e al mercato del lavoro, sia anche nelle performance finanziarie delle borse locali. La seconda, seppur in miglioramento, ha scontato gli assestamenti seguiti all’avvicendamento alla guida del Governo. Ma ciò che ha realmente tenuto la crescita mondiale ancora dentro il buffer 3/3,5%, da cui non riesce a risollevarsi da ormai troppi anni (se si concede al 2010 di aver fatto semplicemente un rimbalzo dalla caduta dell’anno precedente), è stata la flessione di Russia e Brasile.

Dopo un 2014 vicino alla linea di galleggiamento (poco sopra la Russia, ma già in immersione il Brasile) il 2015 ha visto il crollo di queste due importanti economie. Per il Brasile, è stato in un certo senso un redde rationem di alcuni squilibri, derivanti dalla pur positiva epoca di sviluppo, avviata all’inizio della presidenza Lula, che ha fatto emergere una sostanziosa e numerosa classe media. Per la Russia, bisogna osservare come la dipendenza dell’equilibrio economico dalle esportazioni di petrolio e gas abbia pesato sulla bilancia commerciale, mandando in crisi l’intero sistema. Il calo del prezzo del greggio non è stato originato dalla Russia né contro di essa (se non in parte, e successivamente), ma certamente ha contribuito, insieme alle sanzioni economiche dell’Occidente seguite alle vicende geo-politiche sul Mar Nero.

In tale scenario di debolezza o minor traino delle economie emergenti, l’Occidente ha fatto la sua parte, con USA e UK abbondantemente sopra il 2% e l’Eurozona all’1,6%, con il solo Giappone più arretrato, ma pur sempre in crescita.

L’altro importante fenomeno che ha caratterizzato l’economia mondiale nel 2015 è stata la persistente incapacità dei consumi di portare l’inflazione vicino al target del 2%, la soglia che consentirebbe anche ai Paesi gravati da alto debito (come Giappone e Italia) di riprendere fiato. È evidente che pur in periodi di ripresa economica gli orientamenti della domanda interna esitano e sembrano manifestare abitudini di consumo differenti rispetto al decennio scorso. Segno che nuove scale valoriali e anche esigenze diverse hanno rimpiazzato o stanno rimpiazzando quelle precedenti. Non sfugga infatti che pure le politiche monetarie espansive, introdotte massicciamente nell’area dell’euro dalla BCE e mantenute negli USA proprio per dare spinta all’economia e surriscaldare i prezzi (così da alleviare il fardello dei debiti sovrani), non si sono rivelate utili allo scopo, per la prima volta dopo decenni. Facendo anche dubitare della validità delle politiche monetarie seguite finora, orientate sempre a scongiurare il pericolo inflattivo. Quasi che avessimo proseguito per lungo tempo a sorvegliare un confine oltre il quale il nemico era scomparso da tempo.

Anche i paesi BRIC’s non hanno registrato una crescita dei prezzi elevata, con la Cina in particolare che da anni viaggia intorno al 2%. Discorsi separati per la Russia, la cui valuta ha scontato le sanzioni ed ha quindi importato inflazione, deprimendo la domanda interna, e per il Brasile, dove politiche monetarie e di bilancio espansive non sono riuscite a frenare la contrazione dell’economia.

Tornando sul contesto energetico, il 2015 come dicevamo ha visto un persistente mantenimento del prezzo del greggio su livelli bassi, inferiori alla dinamica dei consumi, frutto di scelte politiche. C’è stata infatti la confluenza di interessi dei Paesi dell’Opec di tenere alta la produzione per fronteggiare le fonti emergenti Nord-Americane (shale oil – estrazione da scisto) con le forti tensioni nel Vicino Oriente seguite alla ripresa delle relazioni commerciali con l’Iran, unite alle turbolenze legate alla distribuzione di gas dalle aree centrali della Russia verso i Paesi del Sud-Europa.

La persistenza di instabilità nei Paesi che occupano la sponda sud del Mediterraneo e l’incremento dei flussi migratori, acuiti dal conflitto siriano, hanno ancor più complicato lo scenario economico e politico. In questo, probabilmente la raggiunta autosufficienza energetica degli Stati Uniti ha giocato pure il suo ruolo, almeno incidendo sulla politica estera americana verso l’area del Vicino Oriente.

In conclusione, il 2015 ha visto la convergenza di tanti fenomeni, dalla crisi di alcune economie emergenti al prezzo dell’energia tenuto artificialmente basso, dalle manovre geo-politiche nel Mar Nero all’instabilità del Mediterraneo, dall’inflazione troppo bassa all’emergere dei flussi migratori verso l’Europa.

Il 2015 anche nel Bel Paese è stato un anno di snodo. Ancora una volta l’Italia si è trovata coinvolta in una ripresa internazionale, di cui tuttavia ha potuto o saputo cogliere solo una frazione. Pur con un Governo di coalizione, che almeno sulla carta avrebbe avuto maggiore ampiezza di manovra, gli equilibri ormai inadeguati del sistema socio-economico non sono stati modificati nella sostanza profonda. Tuttavia tentativi di riformare alcuni snodi dell’economia sono stati avviati e dovrebbero svolgere il loro effetto negli anni a venire.

Resta il fatto che il Paese si è trovato di nuovo, per la terza volta in questo secolo, davanti alla sua stessa rigidità e resistenza al cambiamento, anche tranquillizzato dopo il superamento del pericolo del default, che aveva mobilitato gli animi e aveva anche drenato risorse dalla domanda interna.

Domanda che, pur in lieve ripresa, non ha intaccato in maniera sostanziale la disoccupazione – soprattutto giovanile – e certamente non ha mostrato quella fiducia che avrebbe potuto consentire ai prezzi di crescere dal livello strisciante intorno allo zero.

A livello mondiale, il mercato dell’auto ha continuato la sua crescita, trainata innanzitutto dalla domanda di prima motorizzazione dei paesi emergenti, in primis la Cina, e anche dal Nord-America, che ha recuperato e superato i livelli pre-crisi.

Lo sviluppo economico disegna uno scenario futuro di ulteriore crescita, anche se l’avvento del car sharing (inteso come ottimizzazione dell’uso dei veicoli) già induce a mitigare la crescita nel prossimo decennio.

Nella seconda parte del 2015 è salito alla ribalta il confronto tra i propulsori termici e i limiti alle emissioni nocive fissati dai paesi occidentali e – all’interno dell’industria dell’auto – si è acuito il confronto tra i tre tipi di motorizzazione. Il motore a benzina, molto usato in Nord-America, quello diesel, che ormai detiene la maggior parte delle vendite in Europa, e quello ibrido, su cui sono molto avanti i giapponesi.

In Europa la domanda è stata in buona crescita, arrivando quasi a 13 milioni di veicoli immatricolati.

Gli Italiani hanno espresso una domanda complessiva di automobili tornata dopo tre anni sopra i 4 milioni di acquisti, sia nuove che usate – queste al netto dei km0, calcolate tra le auto nuove.

Nelle auto nuove, anche l’Italia ha mostrato, soprattutto nella parte finale dell’anno, una robusta tendenza al recupero dei suoi volumi fisiologici. Tanto che, quasi archiviata del tutto la crisi, è possibile anche fare delle valutazioni su come sia cambiata la domanda dei clienti nel corso di questi anni. La differenza principale sta nelle scelte, orientate in modo crescente verso nuovi modelli, tipicamente SUV e Crossover. Questo ha prodotto un innalzamento nel livello medio dei prezzi di acquisto, di circa 1.000 euro in due anni, che permette di fissare il livello di ritorno ai valori pre-crisi ben al di sotto della soglia dei 2 milioni di auto.

Negli anni c’è stata anche una ristrutturazione delle reti di concessionarie. Molte sono state le uscite, in genere delle aziende più deboli soprattutto sul versante finanziario, ma tante sono state pure le operazioni di accorpamento di più attività imprenditoriali. È un percorso ancora lungo, ma già si sono visti dei miglioramenti nei bilanci delle concessionarie, che sono tornati mediamente in utile e che – soprattutto – vedono meno di un concessionario su cinque stare ancora sotto la linea di galleggiamento.

In termini strutturali, la dotazione di automobili private nel Paese sembra aver raggiunto il livello di saturazione, avendo intrapreso piuttosto la via della ottimizzazione, almeno nelle città, nella direzione di utilizzare di più un numero di auto inferiore, attraverso l’uso del car sharing, che è una sorta di esperimento verso formule diverse, che probabilmente si affacceranno nei prossimi anni. Questo si riflette anche in un marcato invecchiamento dell’età media delle auto, che però era stata artificiosamente abbassata negli anni degli incentivi del decennio scorso. Si aggiunga pure la diminuzione sensibile delle percorrenze, proseguita anche in presenza di un calo dei prezzi dei carburanti, e l’innegabile miglioramento della qualità meccanica dei veicoli, che invecchiano molto meglio delle loro sorelle del secolo scorso.

All’interno della filiera, il 2015 ha reso evidente un processo avviato da alcuni anni: la proposizione del noleggio a lungo termine alle PMI e alle Partite IVA, da parte dei grandi operatori, attraverso le concessionarie ovvero reti di broker indipendenti, spesso multi-mandatari. Anche per questo, la quota del noleggio sulle vendite di auto ha raggiunto la quota del 20%.

Introduzione pubblicata sul CVO (Corporate Vehicle Observatory), a febbraio 2017, firma di Pier Luigi del Viscovo

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