
REVISIONI PER L’EXPORT, INGORGO SUI PIAZZALI
Burocrazia. Caos per un nuovo obbligo a carico delle vetture usate da radiare.
Centinaia di macchine usate bloccate sui piazzali in attesa delle revisioni, senza cui non possono essere radiate e esportate. È un’altra novità introdotta con la modifica dell’articolo 103 del Codice della Strada. Da gennaio, “per esportare definitivamente all’estero autoveicoli, motoveicoli e rimorchi immatricolati in Italia, l’intestatario o l’avente titolo chiede all’ufficio competente la cancellazione dall’archivio nazionale dei veicoli e dal PRA, restituendo le relative targhe e la carta di circolazione. La cancellazione è disposta a condizione che il veicolo sia stato sottoposto a revisione, con esito positivo. E in data non anteriore a sei mesi rispetto alla data della richiesta di cancellazione.”
I noleggiatori, che utilizzano molto il canale dell’export per le auto a fine noleggio, si sono mossi con ritardo e dunque a gennaio si è verificato un accumulo di veicoli da revisionare. Gli specialisti della revisione, a cominciare da Dekra che è in grado di offrire una gestione capillare e al tempo stesso centralizzata, stanno dunque lavorando a pieno ritmo per smaltire l’emergenza e riportare la situazione alla normalità. Ma quale normalità? È proprio lì il vero punto.
C’è un aspetto tecnico, operativo. Le macchine fanno la revisione quando sono in uso, quando hanno cioè un driver che le possa guidare presso un centro revisioni autorizzato. Una volta riconsegnate a fine noleggio, devono essere caricate su una bisarca oppure portate una alla volta alla revisione. Entrambe le operazioni hanno un costo, che dopo alcuni giri carsici rispunterà nel canone di noleggio, pagato dal cliente italiano. È la soluzione adottata da Escargo, leader della logistica auto, come spiega il suo A.D., Silvio Diciolla: “Abbiamo fatto i conti e conviene essere flessibili, anche grazie alla vicinanza dei nostri piazzali con i centri revisione, piuttosto che dotarsi di un impianto interno”. Sia detto per inciso, non si può ovviamente chiedere al cliente di fare una revisione a ridosso della riconsegna, se l’avesse già fatta nei due anni precedenti. Sia perché non sarebbe un suo onere, ma soprattutto perché non sempre viene deciso a quello stadio quale via prendere per quell’auto specifica, se l’export o il mercato nazionale, per il quale vale la revisione fatta nei due anni. Per completezza, citiamo pure quei casi, pochi, in cui il veicolo non sia in grado di sostenere una revisione, perché incidentato, e l’economia suggerisca di portarlo all’estero, dove presumibilmente la riparazione sia meno onerosa.
Poi c’è un aspetto sociale. La revisione è un giustissimo obbligo, che tutela la sicurezza delle strade per gli automobilisti, per i pedoni e per chiunque le usi: un bene pubblico. Pubblico italiano. In base a quale principio l’operatore italiano è tenuto a revisionare in anticipo un veicolo, che potrebbe ancora circolare in sicurezza nel nostro Paese fino ad altri 18 mesi, quando deve mandarlo in un Paese terzo, dove magari la disciplina delle revisioni sia addirittura diversa? A sentire quelli del mestiere, perché qualche delinquente radia le auto per l’export, senza rottamarle, e le smonta per vendere a nero i pezzi di ricambio. Un problema di ordine pubblico, dunque, che viene risolto all’italiana, scaricando sulla parte sana ulteriori oneri.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 19 febbraio 2020, a firma di Pier Luigi del Viscovo