
Svecchiare il parco si deve, ma con sostegno e informazione
Tre sono le notizie dal mondo dell’auto di questi giorni.
Quella più nazional-popolare è il blocco alla circolazione delle auto vecchie, vecchie per l’ambiente, non per i loro proprietari, che si son visti appiedati e con l’auto svalutata quasi a zero.
Quando quelle macchine furono vendute come bene durevole (durevole, le parole abbiano un senso) erano perfettamente in linea con le norme ambientali e nessuno poteva immaginare che anni dopo ne sarebbe stata vietata o molto limitata la circolazione. Per ottime ragioni, aggiungerei.
In un sistema degno di tale nome, simili restrizioni, che hanno un impatto sul reddito disponibile delle famiglie e sulla loro capacità di produrne altro, andrebbero accompagnate da misure altrettanto robuste di sostegno al cambiamento, anche per la fase di transizione (visto che uno che entrasse oggi in concessionaria per comprare una nuova auto poi la guiderebbe se va bene tra qualche mese). I costruttori, che comunque beneficeranno della domanda che forzatamente entrerà nel mercato, devono riflettere bene su quale posizione prendere. Gli americani hanno un’espressione che li guida in politica estera da quasi un secolo:
“Yes maybe he’s a bastard, but he’s our bastard!” Significa in pratica che non sempre si è completamente liberi di scegliere, vincolati in qualche misura dal proprio ruolo, dalla propria storia, fatta di impegni e responsabilità. Ma quale sarebbe la responsabilità dei costruttori? Semplicemente il fatto che quel legame cercato e enfatizzato al momento della vendita ha trasformato quegli automobilisti nei “loro” automobilisti.
Dunque oggi, per la storia che li accomuna, si trovano dalla stessa parte, e se Atene piange, Sparta non ride. Non può ridere. Che poi possa fare altro, è lasciato alla competenza degli addetti ai lavori. Nessuno chiede di organizzare uno sciopero di tutti gli automobilisti, ci mancherebbe altro. Dopotutto, si tratta di macchine, mica di trattori. Di bambini da accompagnare a scuola e genitori che vanno al lavoro, non certo di quote latte. Non interessano a nessun altro, ma sono i loro clienti e sono in difficoltà. Sarebbe bello che i costruttori e i concessionari dessero la loro voce a questi tanti automobilisti colpiti dai provvedimenti restrittivi.
L’altra notizia, più fragorosa, che attira sempre, è il crollo del 40% delle vendite di FCA a settembre. Fa rumore perché conta su un affezionato pubblico sempre disponibile, ma va inquadrata in un settembre distorto, dove tutti i brand hanno frenato, dopo le forzature di luglio e agosto. Nel trimestre, il calo di FCA è intorno al 15%. In volume, perché in valore, in soldi, è tutta un’altra storia. È curioso che dopo aver giustamente deprecato per oltre 15 anni la pratica di sporcare le immatricolazioni con i km0, quando il suo creatore e principale artefice decide di rallentare viene presa per una debolezza. In verità, sono i km0 il sintomo della debolezza. Quando uno è costretto a svendere i prodotti non è forte. Tutti li hanno usati a piene mani, adducendo come motivo la quota di mercato: se il principale player li fa, gli altri devono seguire per non perdere posizioni. Ma da inizio d’anno FCA ha potuto frenare su Fiat e Lancia, grazie ai maggiori volumi di Jeep e Alfa Romeo che danno più fatturato, alzando di fatto il margine su tutte le vendite, come le analisi su queste pagine hanno ampiamente documentato. Fino ad agosto gli altri costruttori non avevano seguito, segno che forse più che le quote di mercato erano le quote di produzione a spingere. A settembre la musica è cambiata. Vedremo.
L’ultima notizia, ma forse in prospettiva la più importante, riguarda il diverso calo delle vendite di auto diesel. Mentre le tre città d’avanguardia, Milano, Torino e Roma, segnano una quota di vendite diesel tra il 20 e il 30%, il resto d’Italia viaggia ancora sul 45%, anche se ora ci sarà l’effetto dei blocchi di cui sopra. I costruttori lamentano che questa guerra al diesel sia poco motivata, alla luce dei nuovi motori Euro6d, che hanno emissioni addirittura inferiori all’ambiente circostante, inquinato di suo da altre fonti, a cominciare dai riscaldamenti.
Però sicuramente tutti gli annunci, da un anno a questa parte, sull’abbandono del diesel non hanno fatto altro che gettare benzina (metaforicamente?) sul fuoco della guerra santa. Non di guerra c’è bisogno, ma di pace, costruita con l’informazione e con provvedimenti armonici che aiutino lo svecchiamento del parco con veicoli nuovi e meno inquinanti. Se poi una parte di questi, magari quelli ad uso urbano, saranno ibridi e non più diesel, ci può stare, anzi forse certe utilitarie diesel erano anche una forzatura, almeno col senno di poi.
Articolo uscito su Il Sole 24 Ore il 2 ottobre 2018 a firma di Pier Luigi del Viscovo.