Toyota. Un problema di cultura
“Chi non lava i piatti non li rompe”, dice un vecchio detto popolare. Può capitare, costruendo macchine, che qualcosa non riesca a perfezione e debba essere aggiustato. Può capitare a tutti. Forse, ma non a Toyota. Toyota ha dei riferimenti di qualità superiori a tutti gli altri, perché Toyota è IL riferimento per tutti gli altri. O almeno così era e così doveva essere. Del resto, quale costruttore non ha guardato al modello Toyota della lean production per gestire la produzione e la supply-chain? La cultura Toyota ha fatto scuola nell’industria, non solo automobilistica.
E proprio la cultura Toyota è la chiave giusta per leggere e capire ciò che sta accadendo in questi mesi, con richiami di milioni di auto in tutto il mondo. Secondo James Womack, studioso delle innovazioni industriali di Toyota a co-autore del libro “The machine that changed the world”, i problemi sono cominciati all’inizio del secolo, quando Toyota ha posto in cima a tutto la visione di diventare il primo produttore mondiale, puntando a una quota del 15% (dall’11% del 2002). Un primato “just driven by ego” e “totally irrelevant to any customer”. Quel customer la cui soddisfazione era sempre al vertice delle attenzioni, in modo quasi maniacale, insieme alla capacità “to stop, think and make improvements”.
Questa visione ha sottoposto l’organizzazione a uno stress per il quale non era stata preparata. Per descrivere lo sviluppo nei decenni di Toyota, i giapponesi usano la parola jojo, che significa “lentamente, gradualmente e costantemente”.
Ma questo non andava più bene, tanto che l’allora presidente, Kastuaki Watanabe, sentiva forte la sfida di trovare un equilibrio tra la cultura Toyota e i ritmi della gestione attuale.
“Nel mondo di oggi il cambiamento può essere prodotto tramite kaizen (il miglioramento continuo), ma può anche essere realizzato tramite il kakushin. Quando il ritmo del cambiamento è troppo lento, non abbiamo altra scelta che ricorrere a cambiamenti drastici o a riforme radicali. I due approcci sono naturalmente differenti: il kaizen è caratterizzato dal cambiamento continuo, il kakushin da discontinuità. Io cerco solo di indurre le persone a fare il salto dal miglioramento incrementale al miglioramento radicale ogni volta che è possibile.”
Ecco, forse hanno fatto un salto di troppo.
Anche per gli esperti del Wall Street Journal, l’errore di Toyota è stato di voler crescere troppo in fretta. “Toyota is suffering from trying to get too big too fast. In the early years of this century the company sensed weakness among its Detroit rivals in the American market. So it began a headlong expansion spree around the world. In doing this Toyota abandoned one of the shibboleths of its conservative culture: never building a new product with a new workforce. Any new factory, anywhere in the world, would first build a vehicle that Toyota was making at one of its existing plants. That approach minimized quality-control variables.”
Nell’auto, i fornitori sono un elemento chiave dell’architettura industriale.
Le Case (original equipment manufacturers – OEM) si trovano al centro di un sistema, circondate da una prima fascia di fornitori, quali ad esempio Bosch, Denso, Delphi, Continental e Valeo, che producono parti integrate e complesse. Più all’esterno ci sono i fornitori di seconda fascia, che producono componenti singoli o assemblati direttamente per l’OEM o anche per i fornitori di prima fascia: CTS, il produttore del pedale dell’acceleratore Toyota “incriminato”, è un fornitore di seconda fascia, che sviluppa nell’auto un terzo del suo giro d’affari. All’esterno ci sono i fornitori di terza fascia, che producono componenti singoli per quelli di seconda fascia.
Negli ultimi anni i fornitori di seconda e terza fascia sono stati ridotti di molto, per la scelta strategica degli OEM e dei fornitori di prima fascia di concentrare la supply-chain. Toyota è stata leader anche in questo, puntando al “sole supplier” con cui stabilire dei rapporti molto stretti di collaborazione, da cui ottenere una drastica riduzione dei difetti e delle forniture “just in time”.
Ormai tutti gli OEM, invece che preferire il fornitore semplicemente più economico, guardano al costo complessivo della componentistica, che include anche l’onere, in caso di elementi difettosi, di sospendere la produzione e richiamare le auto su cui sono stati montati.
Il sistema funziona bene a livello di OEM e fornitori di prima fascia, decisamente meno con i fornitori di seconda e terza fascia, dove servirebbero visibilità e trasparenza, in modo da intervenire subito per evitare che eventuali difetti arrivino a valle fino al prodotto finito e al consumatore.
Toyota, a causa dei ritmi spediti di crescita, si è trovata a lavorare con molti fornitori “non giapponesi” e con pochi ingegneri giapponesi supervisori (i sensei), senza rinunciare al suo modello del sole-sourcing, ma anzi arrivando addirittura a usare alcuni di questi componenti per intere car line in molti mercati. La rapida espansione, sempre secondo Womack, “meant working with a lot of suppliers who didn’t have a deep understanding of Toyota culture.”
Insomma, la filosofia della partnership molto stretta con i fornitori paga (e ha pagato), ma espone a dei grandi rischi potenziali (all eggs in one basket). Ciò impone un controllo serrato e una relazione trasparente e continua con i fornitori, che significa anche delegare al management locale, se non riesci a far tutto dal centro.
Oggi tutti i purchasing manager dell’auto si staranno interrogando sul dilemma tra ottenere il meglio da un fornitore unico oppure stare più tranquilli con due/tre fornitori, tra cui fare anche benchmarking.