
UN BRAND CHE IDENTIFICHI IL SERVIZIO E NON IL CARBURANTE
Per un distributore, farsi preferire dagli automobilisti è una sfida tra le più antiche del marketing e anche tra quelle con minore successo. Già il fatto di definirsi stazione di servizio è un tentativo di comunicare che lì venga offerto un valore, oltre al rifornimento di una commodity per definizione, il carburante.
Gli automobilisti sanno che la benzina e il gasolio sono equivalenti, quale che sia il brand della stazione. Allora, possiamo già trarre una prima conclusione dall’esperienza di oltre mezzo secolo: identificare le stazioni con il brand della rete da cui si riforniscono è molto poco efficace. Tanto poco che la preferenza dei clienti è ottenibile solo attraverso campagne promozionali sulla raccolta punti, salvo poi cedere quei clienti al concorrente della campagna successiva.
Quanto poco sia il contributo del brand è stato reso palpabile proprio dall’apparizione delle stazioni unbranded, cosiddette pompe bianche, che devono vincere l’insicurezza degli automobilisti a mettere nel serbatoio liquidi che non siano garantiti da una marca nota. In pratica, un brand vale l’altro, purché ci sia. Se questo manca, allora il vuoto si fa sentire, generando qualche dubbio dei clienti. A quel punto, la pompa bianca in genere ricorre al prezzo come leva per attirare i clienti, grazie anche ai margini superiori che riesce a spuntare da una gestione indipendente. Le stazioni “non bianche” riescono a fatica a stare leggermente sopra le rivali, ma continuano a competere tra loro sulla base del prezzo, non avendo trovato il modo di spostare la gara sul campo del valore aggiunto.
Dunque, resta la domanda se ci siano altre leve da muovere e come. Abbiamo visto che il brand, come in ogni altro settore evoluto è conosciuto dai clienti e potrebbe essere portatore di valori. Purtroppo, oggi nella distribuzione carburanti il brand identifica il prodotto, verso cui i clienti non nutrono particolari aspettative, se non quella che sia effettivamente tale, senza sorprese. Le reti di distribuzione hanno impostato dall’inizio questa uguaglianza tra il prodotto e la stazione che lo erogava. Hanno provato moltissimo a creare la percezione di un valore aggiunto del servizio, ma la forza del brand centrato sul prodotto rendeva difficile questo e alla fine hanno cambiato strategia, pur conservando le raccolte punti. Una strategia è stata quella di uscire dalla distribuzione, ritenuta poco redditizia. Che è rimasto ha immaginato di poter poggiare l’equilibrio economico della stazione solo in parte sul servizio dell’auto, aggiungendo un’altra gamba, quella dei servizi all’automobilista: tipicamente il bar, ma recentemente anche altro, come il ritiro dei pacchi Amazon. Sono offerte facili da disegnare sulla carta. Ben più complicato farle funzionare. Un gestore di pompa non è un gestore di bar/ristorazione o di negozio. Una stazione ha degli spazi pensati per fermate brevi e veloci, più che per la sosta. Tutti punti che, sia detto incidentalmente, dovrebbero trovare spazio anche nella mente di chi immagina che molte auto possano passare dal rifornimento dei liquidi nel serbatoio in minuti alla ricarica della batteria in ore. Sembra dunque inevitabile per la stazione puntare ad una sostenibilità fondata sulla vendita dei carburanti e sull’erogazione di tutti i servizi possibili all’auto, dalla pressione degli pneumatici ai livelli dei liquidi, dallo stato della batteria al lavaggio, anche solo dei vetri. Tutte cose che vanno vendute e non offerte gratuitamente, perché sono frutto di tempo e lavoro di personale più o meno qualificato.
Far percepire questo valore ai clienti non è semplice, dopo decenni di erogazione gratuita, tuttavia è indispensabile farlo. Avere un brand conosciuto e stimato, che investa su sé stesso in comunicazione, può certamente aiutare. Magari, che sia un brand dedicato alle stazioni di servizio e non ad uno dei prodotti che queste erogano, il carburante, per quanto questo resti la ragione prevalente, spesso l’unica, dell’ingresso del cliente.
L’automobilista dovrebbe sapere, scegliendo un’insegna per il rifornimento, quali altri servizi troverebbe e quali condizioni, di qualità e di prezzo. Non si costruisce nulla lasciando alla benevolenza e alla cortesia del singolo operaio il lavaggio dei vetri o la misurazione degli pneumatici.
Concludendo, se le stazioni vogliono competere sul servizio, devono venderli e non regalarli e costruire un brand, diffuso sulla rete, che identifichi il servizio, non il carburante.
Articolo pubblicato su Muoversi ad aprile 2021 a firma di Pier Luigi del Viscovo