UNRAE. La sfida è politica
Alla conferenza stampa prenatalizia è apparso evidente che il presidente Jacques Bousquet e il direttore generale Gianni Filipponi hanno capito la sfida che questi tempi difficili stanno lanciando a Unrae: un’associazione di categoria, che si è spesa per anni a perorare gli interessi delle case automobilistiche con successo, infilando incentivi a raffica dal 1997 al 2010 (aiutata non poco dall’Anfia, d’accordo, ma portando comunque a casa il risultato), come deve interpretare la sua missione ora che il pozzo governativo non è prosciugato, ma si è trasformato addirittura in una belva assetata di soldi?
L’Unrae ha un ottimo centro studi, che andava valorizzato, cosa che adesso sta accadendo. Va benissimo, ma un’associazione ha comunque una funzione di rappresentanza verso le istituzioni.
Molto giustamente, il presidente Bousquet ha dichiarato di voler proporre solo interventi a “costo zero” per le casse dello Stato. Segno che ha ben chiara la situazione.
Ma a cosa sta puntando l’Unrae? A stimolare la domanda incentivando le auto a basso impatto ambientale (anche con la leva fiscale) e avviando un piano di sviluppo di infrastrutture per la ricarica di auto elettriche. È una strategia corretta, non solo perché persegue un interesse generale (l’ambiente) ma anche perché il modo migliore che l’industria ha per stimolare la domanda è l’innovazione. Altrimenti si ritrova nella situazione attuale, in cui propone un’auto con ABS, airbag e clima e si sente rispondere: “Grazie, ce l’ho già”. Inoltre, L’Unrae sembra fare molto affidamento sull’obiettivo posto dalla UE di 120 gr/km di CO2 per le auto immatricolate nel il 2012 (e non ci siamo, visto che il 2011 è a 130) e di ben 95 gr/km entro il 2020 (irraggiungibile senza propulsioni elettriche o ibride, a detta dello stesso presidente Bousquet). A parte che oggi l’UE metterebbe la firma sulla sua stessa esistenza nel 2020, non sarebbe la prima volta che determinati obiettivi vengono rivisti, dato che anche sui vincoli di bilancio degli stati membri mi pare ci sia una certa flessibilità, per dirla con un eufemismo.
Tuttavia, anche senza revocare in dubbio la cogenza di tali obiettivi, questa strategia oggi potrebbe rivelarsi non sufficiente. Come anche le analisi presentate da Unrae confermano, buona parte dei problemi del mercato auto vengono da fuori, e dunque anche le soluzioni stanno fuori dall’industria dell’auto, non dentro.
I giovani non comprano macchine. Molti perché sono in una situazione disperata. Gli altri, che possono permettersela, magari la intestano a un parente adulto, spinto da tariffe RC ridicole.
A parte l’impatto sui giovani, l’assicurazione è un problema gigantesco per tutti da anni, in Italia. I dati Istat dimostrano che dal 1995 il prezzo delle assicurazioni è quasi triplicato (276 vs 100 nel ‘95), mentre quelli delle auto sono a 125, sotto l’indice generale che sta a 136. La spesa per vettura circolante (a valori costanti) è passata da 171 euro nel 1990 a 426 nel 2010 (+149%), mentre gli incedenti scendevano da 287mila a 211mila (-26%).
Dopo le assicurazioni, vengono i carburanti. In 20 anni la spesa per autovettura è aumentata del 96% (a fronte di una aumento dei prezzi generale del 72%), mentre nello stesso periodo le percorrenze sono rimaste costanti ma i consumi a chilometro sono diminuiti enormemente.
Cosa significano questi fenomeni? Che la missione dell’Unrae forse deve allargarsi. Se davvero vogliono stimolare gli automobilisti, devono adoperarsi affinché non siano più presi a calci in faccia da altre industrie e dallo Stato (responsabile non solo per le accise, ma anche per la mancata ristrutturazione delle reti di distribuzione e per le lacune di giustizia e ordine pubblico in materie assicurative).
Del resto, nel settore auto, ma sul versante della produzione, abbiamo già visto come l’industria abbia dovuto farsi carico di una questione politica.
Insomma, oggi non è più solo business, è politica pura. Sfida difficile, ma non rinunciabile.